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PERCHÉ ABOLIRE L’IRAP?

Se la Francia abolisce la sua Irap, perché non farlo anche noi? Per la verità, Oltralpe non stanno pensando di eliminarla, bensì di introdurla per sostituire la taxe professionelle. Comunque, prima di intervenire sull’imposta regionale sulle attività produttive bisognerebbe chiarire con quali obiettivi. Perché in molti casi potrebbero rivelarsi più utili interventi diversi. Resta il fatto che l’abolizione dell’Irap non porrebbe solo un problema di copertura, ma anche quello di garantire alle Regioni un prelievo che le doti di un adeguato margine di autonomia.

La crisi ha riportato alla ribalta il tema della tassazione delle imprese. Molti interventi, fra cui quelli di Guido Tabellini e Francesco Giavazzi, hanno auspicato l’abolizione dell’Irap o una sua riduzione per contenere il costo del lavoro e per attenuare i problemi di liquidità delle imprese. Una spinta in questa direzione viene dalla notizia con cui titolava, ad esempio, Il Sole 24Ore del 1° ottobre: “Imprese francesi più leggere senza Irap”. Se lo fa la Francia, perché non farlo anche noi?

COSA HA FATTO DAVVERO LA FRANCIA

Più che abolire l’Irap si potrebbe dire che la Francia la sta introducendo. Èvero infatti che Oltralpe si discute dell’abolizione della taxe professionelle, che è molto diversa dall’Irap, ma per sostituirla con un’imposta a due componenti, una sul valore degli immobili e dei beni strumentali, analoga alla nostra Ici, e l’altra… sul valore aggiunto, questa sì davvero simile alla nostra Irap. (1) Quest’ultima è un’imposta che colpisce i redditi (di impresa, di lavoro e di capitale) al momento della loro produzione, anziché della loro distribuzione (in capo ai percettori). Può essere sicuramente discussa, ma non rappresenta né un fatto inedito (essendo applicata in forme simili in altri stati), né un fatto demenziale, come sostiene Giulio Tremonti, o bizzarro, come si legge sui giornali in questi giorni. (2) Come è stato argomentato in molti articoli (articolo 1, articolo 2) su questo sito, la tassazione sul valore aggiunto ha importanti caratteristiche di neutralità, sia rispetto al finanziamento delle imprese (diversamente da quanto avviene con l’imposta sui profitti) sia sulle scelte di impiego dei fattori. Si tratta poi di un tributo idoneo a finanziare un servizio universale, come la sanità, in quanto ha come base imponibile l’insieme dei redditi prodotti e non il solo reddito da lavoro, come i contributi sanitari che ha sostituito..
Il percorso dell’abolizione della taxe professionelle francese è tutt’altro che scontato: si tratta infatti di un’imposta condivisa fra più enti decentrati. La nuova imposta che la sostituisce è in grado di fornire un gettito molto più contenuto (11,7 miliardi di euro in meno nel 2010, 5,8 miliardi in meno in seguito) e lascia quindi aperto il problema di come risarcire gli enti beneficiari.(3) Le soluzioni proposte dalla legge finanziaria francese sono temporanee e lasciano ampiamente irrisolto il problema del finanziamento di alcuni enti, le camere di commercio prima di tutto. Questo stesso problema si porrebbe in Italia, per il ruolo fondamentale che l’Irap esercita nel finanziamento delle Regioni. La componente privata, cioè non pagata da amministrazioni pubbliche, si aggira attorno ai 27 miliardi all’anno: con quale altro prelievo la si vuole sostituire? La risposta, continuamente rimandata (anche dalla legge delega sul federalismo fiscale) non riguarda soltanto il problema della copertura, mai completamente garantita nei casi analoghi dell’abolizione dell’Ici prima casa, come ben sanno i comuni italiani, e dei ticket sanitari, come ben sanno le regioni italiane. Ma anche quello di garantire agli enti regionali un prelievo che li doti di un adeguato margine di autonomia, premessa indispensabile per la loro responsabilizzazione nei confronti dei cittadini. Abolire l’Irap dopo avere depotenziato l’Ici non sarebbe un gran segnale per un governo che ha fatto del federalismo fiscale una delle sue bandiere. L’eliminazione dell’Irap priverebbe poi il nostro ordinamento di un’imposta che può essere utilizzata, senza incorrere nella bocciatura della Corte europea, per la fiscalità di vantaggio prevista dalla delega sul federalismo. (4)

COSA FARE IN ITALIA?

Queste considerazioni non impediscono che l’Irap possa essere oggetto di intervento.
Ma allora andrebbe prioritariamente chiarito quale è l’obiettivo che si vuole raggiungere.
Se l’obiettivo è quello di sostenere le imprese in crisi di liquidità, la riduzione del prelievo fiscale, a prescindere dal fatto che sia realizzata intervenendo sull’Irap o sulle imposte sui profitti, potrebbe rivelarsi inutilmente costosa, in quanto rivolta in modo indifferenziato a tutte indistintamente. Altre misure sarebbero preferibili, quali la restituzione dei crediti che le aziende vantano nei confronti delle amministrazioni pubbliche, che hanno come ricaduta l’allungamento dei termini di pagamento reciproco fra le imprese stesse, o il rafforzamento dei fondi di garanzia sul rischio di credito, in modo da ridurre l’esposizione a tale rischio da parte delle banche.
Se si volesse proprio far ricorso alla leva fiscale, si potrebbe pensare a una riduzione della tassazione condizionata al fatto che gli imprenditori mettano i propri capitali nelle imprese o ve li lascino, come più volte auspicato da Confindustria. Ma se il rafforzamento patrimoniale delle imprese fosse l’obiettivo, è evidente che sarebbe poco opportuno ridurre, in via permanente, proprio l’unica imposta che non favorisce il ricorso all’indebitamento. Meglio sarebbe rendere permanente il cosiddetto “bonus ricapitalizzazioni” (una deduzione temporanea, limitata a cinque esercizi, pari al 3 per cento dell’aumento di capitale effettuato dai soci persone fisiche fino al 5 febbraio 2010, entro 500mila euro), estendendolo al reinvestimento degli utili. Insomma, meglio sarebbe rendere l’Ires più neutrale rispetto alle scelte finanziarie, favorendo il finanziamento con capitale proprio.
Se l’obiettivo fosse invece quello di ridurre o eliminare la componente dell’Irap che grava sul lavoro, occorrerebbe prioritariamente considerare che il governo Prodi è già intervenuto, proprio su questo punto, alleggerendo le imprese di quasi 5 miliardi di euro, con l’esclusione dalla base imponibile degli oneri sociali, e con una deduzione forfetaria, differenziata a favore del Meridione, per ogni assunto a tempo indeterminato. Abbiamo qualche evidenza che questa manovra abbia sortito gli effetti sperati? Prima di concedere nuove e costose agevolazioni, e al fine di capire come sia meglio articolarle, a questa domanda occorrerebbe dare una risposta.
Un’ultima considerazione: è stata avanzata la proposta di finanziare la riduzione dell’Irap con la quota dei 12 miliardi non spesi per la mancata sottoscrizione dei Tremonti bond emessi dalle banche. La proposta appare un po’ azzardata: quei 12 miliardi sarebbero stati solo un investimento finanziario, per giunta ben remunerato, che, come tale, non avrebbe inciso sul disavanzo pubblico, tanto più che si sarebbe trattato di una somma una tantum. Se si vuole abolire l’Irap, anche per la sola componente “privata”, i miliardi da trovare sono 27 e vanno trovati ogni anno.

 

(1) Un elemento critico della taxe professionelle, che ne ha sollecitato l’abolizione, è che essa colpisce anche i macchinari e le altre dotazioni produttive, penalizzando quindi gli investimenti.
(2) Si veda V. Ceriani e S. Giannini, “A local business tax: the case of Irap”, in “Stratégies fiscales des Etats et des entreprises: souveraineté et concurrence”, a cura di M. Aujean e C. Saint-Etienne, Les Cahiers, Le Cercle des économist, Descartes&Cie, 2009
(3) E’ stato infatti introdotto un vincolo per cui non potrà superare il 3% del valore aggiunto della singola impresa.
(4) Sul punto si veda S. Giannini e M.C. Guerra, “Articolazione e coordinamento territoriale delle imposte sui redditi e sulle imprese”, in M.C. Guerra e A. Zanardi (a cura di) La finanza pubblica italiana. Rapporto 2009, Bologna, il Mulino.

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LE MONTAGNE RUSSE DEI DATI CONGIUNTURALI

  1. Luca Guerra

    E’ evidente che una tassazione che consideri il costo del lavoro come sua componente di calcolo sia un incentivo a non assumere, oltre agli altri mille di cui sono gravati gli imprenditori e di conseguenza i lavoratori dipendenti. Il nodo è questo, non si discute della abolizione dell’Irap (magari) ma delle componenti su cui la si calcola. Se non ricordo male, questo orrore impositivo è stato concepito dal governo D’Alema, da cui l’evidente intenzione di colpire i ceti produttivi.

  2. dvd

    In primo luogo definirla un’imposta sul valore aggiunto ci andrei piano. In secondo luogo l’Irap altro non fà che creare tensione tra le parti sociali visto che gli imprenditori non la comprendono (e a ragione) e i consumatori anche se non lo sanno la pagano a valle se la concorrenza lo permette. In sostanza l’Irap altro non fà che aumentare il costo all’utilizzatore finale visto che il produttore della materia prima se può alza il prezzo al terzista per l’irap pagata per unità di prodotto (scheda prodotto unitario) il quale a sua volta lo rialza all’ultimo produttore della catena e così via fino al consumatore, che fatto 120 il suo costo per unità di prodotto potrebbe avere 20 di Iva e 10 di maggiorazione per Irap..! In sostanza pagare 120 per unita di prodotto che di valore intrinseco non ha più di 40/50…! E’ questo che non funziona più oggi, soprattutto in tempo di crisi. Se poi vogliamo andare a vedere a cosa serve quel surplus che tutti noi spendiamo, ossia quel 70/80 c’è di che piangere. Credo che sia ora di non chiedere solo a chi produce, ma sia ora di chiedere a chi spende, male!

  3. Rino

    Come per ogni riforma bisogna uscire dalla ideologia o dal marcare di infamia chi ha deliberato il testo in vigore e contestualizzre il ragionamento. Ricordo che l’IRAP nella veste attuale ricongiungeva alcune imposte che facevano tutte riferimento al lavoro dipendente. Ora se si vuol riequilibrare il prelievo nulla impedisce di ripartire le quote attribuendole anche ad altri fattori della produzione di reddito quali il valore degli immobili strumentali o l’assorbimento di energia o ancora la provenienza del capitale investito. Vorrei solo che in rapporto al capitale o agli immobili non si dicesse subito che si tratta di una patrimoniale e dunque targata politicamente. Inoltre uno schema regionale variabile sui parametri di calcolo, sarebbe auspicabile per tenere di conto delle diverse composizioni nella formazione della ricchezza prodotta. Questo consentirebbe, tra le altre, di attirare alcune lavorazioni nelle regioni che oggi non hanno leve vere per fare politica idustriale. In ogni caso uno stimolo interessante di discussione.

  4. Leonardo Rosselli

    L’abolizione o sostituzione dell’irap andrebbe comunque portata a termine entro l’anno in modo da poter ottenere gli effetti sui bilanci che le imprese chiuderanno al 31.12.2009. Bilanci che avranno effetti disastrosi sull’accesso al credito se non interveranno sospensioni o meglio riformulazioni di Basilea ( quella si che sarebbe un intervento che aiuterebbe l’imprese e sarebbe a costo zero!!). Un primo passo potrebbe essere renderla integralmente deducibile dall’Ires. Per lo stato costerebbe circa un terzo, 9 miliardi e non 27 gli effetti sui bilanci delle imprese ( non sul costo del lavoro) ci sarebbero. Potrebbe essere finanziata da una parte con l’aumento di un paio di punti della stessa ires ( portiamola al 29/30 per cento) dall’altra con tagli alla spesa. Secondo me l’unico modo di tagliare la spesa è tagliare le entrate perchè solo così gli enti locali e la PA avranno la forza di tagliare veramente la spesa o improduttiva. Una riorganizzazione complessiva degli enti locali ( via i quartieri quartieri, razionalizzare i comuni, via le famose province) portebbe a tagli per almeno 5/6 miliardi di euro senza intaccare i servizi anzi forse trovando più risorse anche per quelli.

  5. Massimo GIANNINI

    La storia di abolire l’IRAP é come quella dell’abolizione dell’ICI. Serve a tirar su voti e creare ancora buchi in bilancio. Berlusconi si diverte ad eliminare le tasse federaliste e/o regionali. Ma la copertura chi gliela dà?

  6. Marcello Novelli

    Credo che uno dei problemi più grossi che dovremo affrontare nel prossimo futuro è la fuga dall’Italia delle aziende multinazionali. Queste hanno tutto l’interesse a spostare, non solo la produzione, ma tutte le attività all’estero. Polonia, Romania, India, Cina tutti paesi in cui le multinazionali stanno investendo quello che disinvestono qui da noi. Diminuire il cuneo fiscale e gli oneri gravanti sulle aziende che utilizzano una gran quantità di lavoro dipendente, insieme all’aumento della nostra produttivitò, potrebbe fermare questo processo. La soluzione non c’è ma è necessario ripartire il peso della contribuzione su tutti. Se uno ha 2 milioni investiti a rendimento fisso ha un reddito più lato del mio ma contribuisce poco o niente.

  7. alberto

    Berlusconi è in calo nei sondaggi e tira fuori, come al solito, il coniglio dal cilindro…. e tutti a corrergli dietro! Se toglierà l’IRAP lo farà sostituendola con nuove imposte nascoste (es. tassare i petrolieri o le banche che poi, visto che stanno in monopolio, girano tutto sui consumatori). Con questa gente al governo a stare a disquisire di scienza delle finanze (discipina nobilissima che ho studiato all’università) si rischia solo di essere presi per i fondelli. Bisogna aspettare il ritorno di gente seria (tipo Visco) nella stanza dei bottoni per poi spremersi utilmente le meningi a fare proposte.

  8. Acurti

    Pare che non ci si rammenti che, al momento dell’istituzione dell’IRAP, vennero eliminate tasse e contributi sanitari per un ammontare di gettito quasi doppio rispetto a quanto l’IRAP avrebbe potuto produrre, con consistentissimi risparmi per il settore economico e le imprese. Nessuno rammenta, inoltre, che l’IRAP viene altresì pagata anche da tutte le pubbliche amministrazioni sulla base del monte salari riferito al personale dipendente (IRAP PUBBLICA). Il gettito di tale tributo è pressochè totalmente destinato alla copertura di una consistente quota parte del fabbisogno relativo alla spesa sanitaria che le Regioni devono assicurare per garantire l’assistenza sanitaria a tutti i cittadini. Con quale altro tributo si può assicurare il finanziamento della sanità che già "soffre" di finanziamenti inadeguati? Questo tutti i cittadini, imprenditori compresi, devono saperlo e non dimenticarlo. Con il livello dell’evasione che c’è nel Paese occorrerebbe chiedersi, semmai, quale tributo possa meglio assicurare un giusto e corretto prelievo fiscale.

  9. Enrico Franco

    A me sembra che l’Irap sia una delle imposte più razionali, soprattutto se destinata sostanzialmente a finanziare il SSN. Il problema vero è che viene “vissuta” dalle aziende come un vero e proprio balzello senza senso, rifiutandosi di accettarne la razionalità e mettendone quindi in discussione non tanto il livello quanto la sua stessa esistenza. E questo è un grosso problema da non sottovalutare da parte dei suoi sostenitori. Tale vissuto delle aziende poi viene amplificato dalla contestazione dell’Irap da parte di alcuni autorevoli economisti con argomentazioni sorprendentemente generiche rispetto a quelle rigorose degli economisti sostenitori, e soprattutto con idee di sostituzione del gettito del tutto parziali e disarticolate. Ritengo che il finanziamento del SSN debba avvenire con una imposta di scopo trasparente basata sui redditi: o al momento della loro produzione, come l’Irap, o a quello della loro percezione. In questo caso non può che trattarsi di un’”aggiunta” (qualsiasi sia la forma) alla imposizione delle persone fisiche. Non volere l’una né l’altra significa ricercare soluzioni pasticciate e poco trasparenti.

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