Come diversi lettori hanno scritto, la diatriba sulla prevedibilità via radon o meno è relativamente poco importante. Il terremoto a L’Aquila era previsto: non da una settimana ma da anni. La domanda quindi è, perché case ed edifici pubblici, anche recenti, sono crollati?
Altri lettori si interrogano sulla questione della previsione in tempo (quasi) reale. Rispondiamo tornando a sottolineare un punto che ci sembra particolarmente importante: il radon come possibile precursore di eventi sismici si studia da più di trent’anni, e non solo in Italia ma in tutto il mondo. Dai risultati di anni di ricerche si evince che un picco nelle emissioni di radon non è un valido precursore di un terremoto: l’unico "modello" a disposizione della comunità scientifica è questo. Un lettore scrive che il radon "poteva essere usato almeno come segnale, se falso tanto meglio": ma, come fanno notare altri lettori, anche una evacuazione ha dei costi: enormi costi economici e anche un rischio in termini di vite umane. Se le probabilità che un segnale geofisico osservato sia in effetti un fenomeno precursore di un grande evento sismico è, come nel caso del radon, molto bassa, è del tutto logico non ordinare un’evacuazione. L’alternativa, difficilmente sostenibile, sarebbero evacuazioni continue. Scegliere la "tolleranza zero" rispetto ai rischi naturali è una filosofia condivisibile: ma allora dovremmo semplicemente abbandonare tutte le città costruite in zone ad elevato rischio sismico (Udine, Messina, Reggio Calabria,…) e trasferire la popolazione altrove in via definitiva.
Molti suggeriscono che il ricercatore Giuliani possa aver scoperto qualcosa a cui la comunità scientifica non è ancora arrivata. Dal momento che Giuliani lavorava nell’ombra, senza pubblicare (perché?) i suoi risultati, varrà la pena verificare. Per ora siamo costretti a essere scettici: per esempio, stando a un articolo pubblicato online da La Repubblica proprio il 6 aprile, "nel 2001 stavamo osservando il misuratore di particelle cosmiche presso l’Istituto," dice Giuliani, "quando, in corrispondenza del terremoto in Turchia, rilevammo una quantità straordinaria, rispetto al solito, di radon." Ora, un modello scientifico che mette in relazione un fenomeno locale come l’emissione di radon con eventi a mille chilometri di distanza è, allo stato attuale delle conoscenze, difficilmente difendibile. Anche perché, come detto, stiamo parlando di fenomeni che sono già ampiamente conosciuti e studiati. Le emissioni di radon, in particolare, vengono monitorate un po’ dappertutto perché, come è stato ricordato da un lettore, chi vive in una zona soggetta a questo fenomeno rischia di trovarsi la casa radioattiva. Un’altra ragione di scetticismo è la scelta da parte di Giuliani di non sottomettere i suoi risultati alla procedura del peer-review, necessaria per la pubblicazione su riviste scientifiche.
Il radon continuerà ad essere studiato, e gli autori si augurano che questa ricerca porti buoni frutti. Continuare a discuterne ora, però, rischia di far dimenticare le previsioni che esistevano già, quelle delle mappe che collocano i comuni colpiti in prima e seconda zona nella classificazione sismica del territorio: le zone a più alto rischio. Bisognerà capire se e perché queste previsioni sono state ignorate. Concludiamo ripetendo il commento di un altro lettore, che parafrasando bene senso e motivazione del nostro articolo incoraggia ad "attivarsi ed esigere, come cittadini, investimenti in reti di sorveglianza, infrastrutture e personale tecnico specializzato per monitorare il paese. Ma dedicare anche cura ed attenzione a che venga definita e soprattutto applicata la normativa tecnica che consente a tanti di vivere e sopravvivere a terremoti ben più devastanti di quello pur terribile dell’Abruzzo. È ciò che possiamo fare in concreto. Ed è ciò che finora non è stato fatto."

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