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IL PATTO FISCALE

Pubblichiamo un brano del capitolo conclusivo del libro di Dino Pesole e Francesco Piu “Il patto. Cittadini e Stato: dal conflitto a una nuova civiltà fiscale” (Il Sole 24Ore, 16,50 euro). Come scardinare il circolo vizioso di cattiva qualità dei servizi pubblici e carenza di senso civico nella collettività? Le riforme della pubblica amministrazione già realizzate devono avere conseguenze pratiche. E un aiuto può arrivare dal manuale di autodifesa del cittadino allegato al volume. Ma per combattere l’evasione iniziamo a premiare chi fa il proprio dovere: paga meno chi paga tutto.

Il complesso dei dati e delle argomentazioni fin qui esposti mette in luce una situazione generale del Paese che con una certa dose di ottimismo potremmo definire “critica”. (…) Oggi il Paese è solidamente agganciato all’Europa, siede a pieno titolo nei grandi consessi internazionali. Esistono ovunque in giro per l’Italia piccole e grandi realtà produttive accanto a veri centri di eccellenza. Ma intere fette dell’economia e della società restano saldamente in mano alla criminalità organizzata. Squilibri antichi si aggiungono a nuovi elementi di vulnerabilità. In questo Paese complesso, dalle mille realtà e sfaccettature, al momento prevale l’incertezza, l’insicurezza, la sfiducia.
E vi è un elemento di fondo, che appare incontestabile. Il livello di insofferenza e di malcontento per il peso eccessivo del fisco (soprattutto per chi le tasse le paga per intero) ha raggiunto una soglia limite, tanto che da più parti vengono invocati “scioperi” fiscali o iniziative dirompenti che poi fortunatamente restano confinate nell’ambito delle “provocazioni”. (…) Per altro verso – lo abbiamo illustrato nelle pagine precedenti – non è ancora maturata nella nostra società la consapevolezza che gli evasori arrecano un danno all’intera collettività, e chi assolve in pieno ai suoi obblighi fiscali e contributivi subisce un danno personale, poiché è costretto a far fronte con un surplusdi tassazione sul proprio reddito al mancato gettito procurato da chi si sottrae al dovere fiscale. Poiché continuiamo in media a percepire lo Stato come altro da noi, entità astratta e inefficiente, in cui albergano sprechi e malaffare, è come se il vulnusche viene arrecato alla “comunità” non ci riguardi. Avendo compiuto il nostro dovere, ci sentiamo assolti. Anzi, spesso nutriamo una malcelata “ammirazione” per chi riesce a farla franca, e al tempo stesso avvertiamo che il popolo degli evasori ci considera come degli ingenui, passivi sudditi di uno Stato che ci tartassa, restituendo in cambio servizi scadenti. Dopo il danno, la beffa. In queste condizioni, invocare il “senso della comunità” appare arduo.
Accertato tutto ciò, occorre fare un passo in avanti. Le analisi abbondano, sono utili e importanti ma non più sufficienti. È necessario uscire in fretta dalla logica del “tutti contro tutti”, della contrapposizione frontale che sembra essere la cifra caratterizzante dei nostri tempi. Ecco che allora s’impone il “Patto” di cui abbiamo anticipato nelle pagine precedenti alcuni tratti salienti.
(…)

LA FIGURA DEL CONTRIBUENTE TOTALE

Ma come indurre i cittadini-contribuenti, soprattutto quelli più a rischio di comportamenti evasivi ed elusivi, a regolarizzare la loro posizione nei confronti del fisco? Deterrenza e incentivi: queste potrebbero essere le strategie vincenti sulle quali investire mezzi, risorse e uomini. Sul fronte della deterrenza, è del tutto evidente che la propensione a evadere è strettamente correlata alla probabilità di subire un controllo (da noi, nella media, tale eventualità è percepita come remota). Ecco allora che occorre nell’immediato puntare su controlli veri, sistematici e mirati sui contribuenti effettivamente a rischio, evitando inutili dispersioni di energie e denaro pubblico nel perseguire gli errori formali. (…)
L’altro fattore decisivo, per quel che riguarda gli strumenti di deterrenza, da certi punti di vista non meno efficace dell’attività ordinaria degli uffici fiscali e della Guardia di finanza, è il controllo sociale. (…) Sano controllo sociale, non delazione, intendiamoci, che si eserciti attraverso le forme tradizionali di ogni comunità, come la riprovazione e la condanna verso chi adotta comportamenti fraudolenti. Al momento, invece, non vi è alcuna forma di reazione sociale. Talvolta registriamo al contrario una sorta di indulgenza, se non di invidia. (…)
E allora, si cominci dalla scuola, fin dalle elementari, a spiegare agli studenti cosa vuol dire esser parte di una comunità, cosa significa “coscienza civile”, a cosa servono le tasse. Si cominci a investire su massicce campagne di informazione all’insegna dello slogan “chi evade danneggia anche te, digli di smettere!”. Se infatti è intollerabile che la pressione fiscale sia giunta all’attuale, elevatissimo livello (anche per effetto della “sovrattassa” che versiamo a causa dell’evasione), è altresì intollerabile che un Paese moderno, tra i più avanzati e industrializzati del mondo, continui a esprimere un così scarso senso civico. Su questo aspetto occorrerebbe una mobilitazione culturale, civile, intellettuale in grado di coinvolgere l’intera società in tutte le sue articolazioni. In Italia –scriveva Italo Calvino – “le cose semplici non vengono mai dette. Quest’epidemia ha colpito la politica, i giornali, la burocrazia”. E allora, non è giunto il momento di cominciare?
Per favorire l’affermazione di comportamenti fiscalmente virtuosi occorre prevedere e immaginare al tempo stesso un sistema articolato di incentivi. Ecco perché, dopo aver analizzato le tesi di quanti propongono slogan fiscali suggestivi e suadenti dal punto di vista elettorale (senza che sia stato chiarito in modo dettagliato attraverso quali coperture finanziarie certe e inoppugnabili si possano raggiungere gli effetti annunciati), ci chiediamo se non sia possibile avanzare una sorta di analisi di fattibilità che consenta l’affermazione del nuovo principio “paga meno chi paga tutto”. Proposta che potrebbe (è la finalità di questo libro) aprire una prima breccia. (…)
Il primo passo, da considerarsi come una significativa traduzione in pratica del “Patto”, è che si affermi una nuova figura, cui attribuire un visibile riconoscimento civico e sociale, ilcontribuente totale: persona fisica o impresa, professionista, artigiano o commerciante, dipendente o pensionato che con assoluta certezza adempie a tutti i suoi doveri fiscali e contributivi, e che per questo può vantare un assoluto livello di trasparenza nei suoi comportamenti e obblighi nei confronti del fisco.
Il contribuente totale, azionista del risanamento fiscale del Paese, dovrebbe divenire il protagonista di un nuovo spazio abitato da quanti abbiano scelto di collocarsi stabilmente sul versante della probità fiscale. La sua promozione dovrebbe essere sostenuta da una massiccia campagna di informazione, che punti all’effetto emulazione, sui “ritorni” di immagine e anche economici. Si può auspicare che nell’arco di qualche anno, l’affermazione di questa figura, la sua diffusione e visibilità, possa far maturare almeno in un segmento dei contribuenti irregolari le condizioni per programmare un loro “rientro” nella norma. (…)
Allora occorrerebbe immaginare strade diverse, cominciando almeno in prima battuta a dirottare i benefici (non necessariamente ed esclusivamente fiscali) verso quella larga platea di contribuenti che le tasse le paga per intero, per programmare poi un’estensione dei possibili beneficiari a quanti siano rientrati nel circuito della regolarità. L’occasione appare propizia perché il fisco torni finalmente ad agire al di fuori dei condizionamenti e dei patteggiamenti con le varie categorie. L’affermazione della figura del contribuente totale aprirebbe la strada a interventi più selettivi e a risarcimenti decisamente più “mirati”.

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11 commenti

  1. amsicora

    Proprio oggi apprendo da "dagospia" che il comune di genova (governato dalla sinistra delle "tasse bellissime") ha acquistato un vecchio negozietto di dischi di 12 mq sito nel centro storico per la incredibile somma di 400mila euro, col pretesto "culturale" che 40 anni fa sarebbe stato frequentato da fabrizio de andré… e potrei citare centinaia o migliaia di casi simili di dissipazione della ricchezza sottratta ai contribuenti che l’hanno prodotta. "Civiltà fiscale"?! Ma di cosa stiamo parlando?! Vicende come queste legittimano, dal punto di vista morale, l’evasione.

  2. gabber79

    Se volessi esprimere la mia volontà in merito alla gestione di un’azienda, dovrei prima qualificarmi come socio sottoscrivendo una quota di capitale: potrò quindi contribuire a scegliere il management. Semplificando molto, lo Stato si basa su un patto sociali: ogni cittadino è chiamato a contribuire sulla base delle proprie capacità. Coloro che non contribuiscono secondo le loro capacità si pongono al di fuori del patto sociale: per quale motivo dovrebbero poter esprimere la propria volontà riguardo a chi deve amministrare la cosa pubblica? Una forma di deterrenza non potrebbe essere la limitazione del diritto di voto (amministrativo o politico che sia) per gli evasori? Si potrà dire che è una soluzione incostituzionale, ma in fin dei conti ogni evasore già usufruisce di ospedali, scuole, difesa, strade etc etc che non ha contribuito a finanziare: dargli anche la possibilità di scegliere come spendere le tasse pagate da altri, mi pare un’aberrazione!

  3. raffaello lupi

    Dalla pagina pubblicata mi sembra venga attribuita una eccessiva importanza alla concezione moralistico-antropologica dell’evasione, che ha un peso tutto sommato secondario rispetto alla diversa rilevabilità della ricchezza, a seconda che essa venga erogata (redditi) o percepita (consumi) da strutture rigidamente organizzate, come ho cercato di dimostrare nel mio Evasione, Paradiso e inferno, Ipsoa, 2008, la concezione moralistica dell’evasione rallenta la comprensione del fenomeno, provoca inutili lacerazioni sociali, e soprattutto giova solo agli evasori e ai corrotti mentre le grandi organizzazioni finiscono per essere il capro espiatorio, con controlli quasi costanti e inutili sul regime giuridico di quello che dichiarano (salvo che possano prendersi rivincite nell’ombra).

  4. Enrico Rampazzo

    E dai ancora con questo "le tasse sono bellissime". Padoa Schioppa non ha detto "le tasse sono bellissime" punto. Ha detto che le tasse sono bellissime perchè permettono di finanziare i bisogni collettivi. Solo che siccome i mass media cercano la notizia, distorcendo la verità, solo la prima parte della frase è stata riportata. Quanto allo sperpero di denaro pubblico: chi ha messo lì quegli amministratori? Se si evade, si pensa veramente che sperpereranno di meno? Non sarebbe meglio mandarli a casa attraverso le elezioni? Mi spiace ma no, evadere non è mai giustificato.

  5. Franco ELIA

    Sono condivisibili le osservazioni, gli intenti e le proposte, offerti dagli autori; però c’è un argomento di fondo che, se non affrontato nelle sue radici, rende poco realizzabile ogni cambio di mentalità e diffusione del senso civico. Se un Paese come l’Italia trascina, da che è nato, questo ambiguo comportamento tra impositori e contribuenti e non si scandalizza affatto per l’evasione e per il "nero", della propria criminalità, vuol dire che il male sta nella sua stessa struttura, che dà per scontata la criminalità e che al contribuente totale dà il "bastone" del sur-plus di tassa-criminalità e la "carota" dell’impegno di migliorìa, ponendo però come requisito indispensabile la collaborazione del su lodato contribuente super-totale. Per essere credibili: gli impositori fanno conti e programmi solo su quanto incassano e dicono: "questo posso fare". Ogni previsione-impegno va matematicamente collegato a precise e attualizzabili entrate, non avverandosi le quali non se ne parlerà più e si resterà come prima, ma senza quel governo. A meno che i suoi componenti non onorino in proprio la cambiale. Discutiamo quel comportamento per rispondere al quesito in oggetto?

  6. Emilio De Luigi

    The presentation of the book of Dino Pesole and Francesco Piu "Il patto. Cittadini e Stato" starts with the statement that there is in Italy a sort of unbreakable connection between extremely poor level of public services and faulty civic virtues. I don’t think we can accept that. It implies that the public servants don’t perform because citizens cheat as tax payers. If anything, the opposite is true: The poor level of services may transform good citizens in bad tax payers. And in fact it is also true that a lazy public administration promotes bad behavior of citizens. To clean-up the Public Sector we just need to start firing the bad public servants, nothing else. But firing members of the public administration in Italy, i.e. in a country where impunity is the universal rule and where public servants are the electoral backbone of powerful parasitic unions and of a powerful parasitic political class, is something that is not going to happen. Never.

  7. GC40

    Giuste molte delle considerazioni, ma ‘un patto’ prevede almeno due parti. Vedo poco sviluppato il ruolo dello Stato. Non si può parlare di ‘patto’ se questo significa pagare tasse altissime per ricevere servizi scadenti (per usare un forte eufemismo); servizi che, spesso, bisogna ulteriormente pagare. Se le pubbliche amministrazioni fossero una vera ‘controparte’ e dessero reali servizi forse una parte almeno dell’evasione, o della propensione ad evadere, sarebbe meno forte.

  8. Francesco

    E la spesa dov’è? Nell’articolo non si parla della spesa pubblica. Non si può parlare di redistribuzione del carico fiscale dimenticandosi che le tasse servono solo a finanziare la spesa pubblica (e non a fare utili). E’ dalla spesa che bisogna iniziare a ragionare. Se la spesa pubblica fosse efficiente e soprattutto equa, a parità di evasione, il carico fiscale che oggi pesa su ogni cittadino italiano potrebbe forse già essere ridotto. Purtroppo però, l’Italia è il paese della politica sprecona e delle clientele nobili e meno nobili. In tal senso, di "patti" in giro ce ne sono già troppi. Quelli poco trasparenti e se possibile molto esclusivi sono in particolare i più gettonati. In questo paese ci vorrebbe giustamente un po’ di Educazione Civica, magari già alle scuole elementari. Spiacente, ma sembra che sia stata abolita da un po’. Del resto, l’importante è che si sappia bene l’inglese, chi se ne frega se poi avremo persone senza un briciolo di senso civico. Per fortuna però è arrivata la Gelmini…

  9. andrea

    Se è vero che il contribuente deve comprendere che l’evasione è un gioco autolesionista, è altrettanto vero che il mondo politico deve comprendere che la persecuzione fiscale e l’imposizione mediamente piu’ alta del pianeta non possono che condurre all’evasione di massa. Non vi è ragione per cui in Italia si paghino molte piu’ tasse che in ogni altro paese, all’unico scopo di finanziare privilegi insopportabili a vantaggio della numerosa classe politica, e di finanziare impieghi assistiti senza alcuna rilevanza economica. Cosi’ facendo si offre una forma di giustificazione morale al contribuente che elude o addirittura evade, e ci si trova nel ramo discendente della curva di Laffer, in cui ad aliquote crescenti corrispondono entrate fiscali decrescenti.

  10. Claudia Cuppi

    Condivido e apprezzo il brano del libro. Ritengo basilare incidere sulla "mentalità" perchè come diceva il grande storico francese Braudel la mentalità è il tempo lungo della storia e per cambiarla occorrono azioni concrete prolungate, costanti a partire proprio dalla scuola, dove mi ha sempre colpito il fatto che non si insegnasse educazione civica. Sono titolare di una azienda che edita un settimanale locale (Ravenna& dintorni.it) free press diffuso gratuitamente in migliaia di copie, la mia proposta è di far pubblicare a tanti giornali come il mio questa campagna di coscienza civile gratuitamente, come impegno sociale. Creare una associazione di LIBERI editori che possano cominciare a lanciare il messaggio per poi cercare di allargare a macchia d’oglio le adesioni di altri editori più grandi affinchè tutti insieme si possa realmene incidere sulla società. Lo strapotere di Berlusconi, è dato in gran parte dal suo potere mediatico, che per altro sta causando danni notevoli al già scarsissimo senso del vivere civile degli italiani. Cominciamo a fare qualcosa di concreto, internet per ora non basta, la società italiana è ancora scarsamente tecnologizzata. Fatemi sapere, grazie.

  11. capuzzo francesco

    Sono anni che si sentono queste cose, purtroppo la politica trova elettoralmente conveniente assecondare l’evasione. Ci vorrebbe uno scossone, penso alla minaccia del lavoro dipendente di non versare le tasse (una protesta di massa), in cambio della possibilità di detrarre qualsiasi importo rendendo conveniente la fatturazione.

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