Nel 2013 entra in vigore Basilea 3 che inasprisce i requisiti patrimoniali delle banche. Potrebbe così diminuire ulteriormente l’erogazione di credito alle Pmi. Invece di cercare soluzioni ad hoc, si potrebbe favorire una maggiore capitalizzazione delle aziende. Le simulazioni mostrano che un aumento del 20 per cento per tre anni dei conferimenti di capitale da parte dei soci avvierebbe un circolo virtuoso. Per le imprese scenderebbe l’indebitamento e la loro maggiore stabilità comporterebbe un risparmio per le banche in termini di patrimonio di vigilanza fino a 10 miliardi.

L’entrata in vigore di Basilea 3 dal 1° gennaio 2013 richiede alle banche un rafforzamento patrimoniale, che segue l’inasprimento dei requisiti di vigilanza già stabilito dal Consiglio europeo lo scorso ottobre. Per i cinque principali gruppi bancari italiani, il capitale aggiuntivo necessario è stato quantificato in 15,4 miliardi di euro.

I PROBLEMI DELLE BANCHE

Negli ultimi anni, a causa della crisi, gli istituti di credito italiani hanno fortemente ridotto la redditività e quindi la possibilità di rafforzare il patrimonio attraverso l’autofinanziamento. L’inasprimento della vigilanza potrebbe ulteriormente frenare l’erogazione di credito alle piccole e medie impresemi. Per alleggerire il peso dei requisiti patrimoniali, l’Abi ha sostenuto la proposta di introdurre flessibilità nazionali e, in particolare, l’adozione dello Sme supporting factor, un fattore di correzione applicato a favore delle Pmi italiane. Minore è stata l’attenzione sugli effetti che potrebbe generare, in termini di risparmi patrimoniali delle banche, una maggiore capitalizzazione delle imprese – ad esempio per il pieno successo delle misure di premio agli imprenditori che rischiano capitale proprio, come si propone l’Ace, l’Aiuto alla crescita economica predisposto dal governo Monti, che permette la deducibilità dal reddito del 3 per cento dell’aumento di capitale. Grazie agli archivi e ai sistemi di rating di Cerved Group sui bilanci delle società italiane è possibile simulare l’impatto che avrebbe sui requisiti di capitale delle banche una massiccia ricapitalizzazione e quantificarne i risparmi in termini di patrimonio.

POCO CAPITALE: UNA CARATTERISTICA STRUTTURALE

La struttura economico finanziaria delle imprese italiane è da sempre sbilanciata, dal lato del reperimento dei fondi, a favore dell’indebitamento verso il sistema bancario e, di conseguenza, storicamente caratterizzata da un basso impiego di capitale di rischio. Il confronto con i partner europei lo mette in evidenza: per le aziende con giro d’affari inferiore ai 50 milioni di euro, la quota dei finanziamenti bancari sul totale attivo si colloca tra il 20 e il 25 per cento per l’Italia, mentre è fra il 5 e il 15 per cento negli altri paesi, ad eccezione dell’Austria.

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La scarsa propensione alla quotazione sul mercato borsistico e al reperimento di risorse mediante emissioni sul mercato obbligazionario, la struttura dimensionale più piccola rispetto alle concorrenti dell’area euro e la ritrosia degli imprenditori a rischiare capitale proprio rappresentano elementi di fragilità per le imprese nel breve termine e richiedono un maggior impegno delle banche in termini di patrimonio di vigilanza.
Al contrario, un diffuso aumento della capitalizzazione, in particolare delle Pmi, potrebbe generare una serie di effetti positivi che non si limiterebbero al livello di solidità delle aziende, ma che potrebbero estendersi al sistema finanziario.

LA NOSTRA SIMULAZIONE: GLI EFFETTI SULLE IMPRESE

Le simulazioni sono state condotte su un ampio campione di società (più di 100 mila società di capitali che presentano il bilancio in forma ordinaria) per quantificare gli effetti di conferimenti di capitale da parte dei soci, incrementandoli del 20 per cento rispetto a quanto osservato negli ultimi bilanci disponibili (del 2010) per i successivi tre anni e mettendo questa ipotesi a confronto con uno scenario di base in cui non si ipotizzano ulteriori apporti di capitale.
In base all’esercizio di simulazione, gli apporti di denaro, quantificabili in 75 miliardi di euro sui tre anni per il totale delle società di capitali, farebbero aumentare il patrimonio netto complessivo a ritmi del 6-7 per cento annuo, avviando un circolo virtuoso. Secondo le ipotesi assunte nell’esercizio, il nuovo capitale sarebbe utilizzato per una quota compresa fra l’82 e il 90 per cento per finanziare l’attività corrente delle imprese – riducendo sia i debiti finanziari a breve termine, che quelli a lungo termine – e, per la parte restante, per nuovi investimenti. La contrazione dell’indebitamento influisce positivamente sul peso degli oneri finanziari e favorendo un miglioramento della redditività complessiva. A questo va aggiunto il bonus fiscale dell’Ace, che consentirebbe un risparmio di 2,25 miliardi di euro.
Sulla base di queste assunzioni si sono stimati gli effetti sulla solvibilità delle imprese e i riflessi sull’attività bancaria. La leva finanziaria migliorerebbe, passando dai 2,34 punti percentuali del 2010 ai 2,13 del 2013; viceversa, nello scenario di base, la leva peggiorerebbe ulteriormente fino ad arrivare a 2,54 punti percentuali.
La maggiore stabilità finanziaria e strutturale comporterebbe una riduzione della quota delle aziende a rischio default e le banche potrebbero finanziare una clientela più solida: utilizzando il sistema di rating sviluppato da Cerved Group, dopo tre anni il 49,2 per cento delle imprese del campione apparterrebbero all’area di solidità (classi di rating da 1 a 4 su una scala a 10 classi), in crescita di 8,1 punti percentuali rispetto al dato del 2010.(1)Specularmente si ridurrebbe il numero di aziende nell’area di vulnerabilità (classi 5 e 6) e nell’area di rischio (classi da 7 a 10).
La valutazione migliore consentirebbe alle aziende di ottenere tassi di interesse più bassi, con ulteriori effetti positivi sui margini di conto economico post gestione finanziaria.

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I VANTAGGI PER IL SISTEMA BANCARIO ITALIANO

Il progressivo spostamento delle imprese verso le classi meno rischiose, si traduce in un beneficio per le banche in termini di minore assorbimento di capitale.
La normativa di Basilea 2, in ottica di vigilanza prudenziale, fissa all’8 per cento delle attività ponderate per il rischio (Risk Weighted Assets) il requisito di capitale minimo, ossia la quota di capitale proprio minima che le banche devono detenere a fronte dei rischi a cui sono esposte. Con Basilea 3, il requisito salirà al 10,5 per cento, ma non sui finanziamenti concessi alle Pmi (per cui rimarrebbe all’8 per cento).
Per quanto riguarda il rischio di credito, l’Rwa viene calcolato sulla base delle esposizioni nei confronti dei singoli clienti (Ead), del merito creditizio (Pd), delle perdite attese in caso di default (Lgd) e della maturity del debito.
Grazie ai conferimenti di capitale assunti dalla simulazione, l’Rwa dei primi cinque gruppi bancari italiani, calcolato ipotizzando una maturity e una Lgd costanti e pari, rispettivamente, a 2,5 e 0,45, si contrarrebbe del 9,25 per cento dopo tre anni per effetto del miglioramento del merito creditizio delle imprese.
Estendendo i risultati del campione utilizzato nell’esercizio al complesso delle imprese finanziate, è possibile quantificare il risparmio in termini di patrimonio di vigilanza dei cinque istituti in 5,39 miliardi di euro. Allargando la simulazione all’intero sistema bancario e mantenendo inalterate le ipotesi di base i risparmi potrebbero superare i 10 miliardi di euro.

(1) Cerved Group è riconosciuta come agenzia Ecai dalla Banca d’Italia per le valutazioni unsolicited del merito creditizio nell’ambito del metodo standardizzato, ai sensi della regolamentazione di Basilea 2.

 

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