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TROPPA CONFUSIONE SUI LAVORATORI AZIONISTI

Dare rappresentanza ai lavoratori nel governo dell’impresa è utile soprattutto se si guarda al loro interesse a conoscere e controllare la gestione, ad esempio attraverso la possibilità di nomina di membri del collegio sindacale. La partecipazione finanziaria dei lavoratori, invece, può portare a confusione dei ruoli. Un contributo potrebbe invece derivare dal rafforzamento delle forme di investimento collettivo. E’ questo uno dei tanti aspetti del tema “Mercato e democrazia”, titolo del Festival dell’Economia che si tiene a Trento dal 29 maggio prossimo al 2 giugno.

Nella discussione degli ultimi giorni sui futuri assetti delle relazioni industriali sono  emerse ipotesi e proposte di nuovi interventi legislativi per incentivare la partecipazione dei lavoratori alle imprese e la diffusione di strumenti di democrazia industriale all’interno della governance societaria.

GLI STAKEHOLDER NEL GOVERNO SOCIETARIO

In realtà, non sono certo ipotesi originali: si perdono ormai nella notte dei tempi gli innumerevoli progetti di legge presentati nel corso delle passate legislature e anche in sede comunitaria esiste una lunga tradizione di studi e rapporti che sollecitano gli Stati membri a intervenire sulla materia.
In Italia, in parte per una diffidenza trasversale alle organizzazioni del lavoratori e degli imprenditori, non si è mai giunti a risultati concreti, ma forse lo scenario è cambiato e offre un’occasione da non perdere.
Da un lato già esistono norme, tutte di derivazione comunitaria, che prevedono obblighi di informazione e consultazione dei lavoratori per alcune tipologie di imprese e la loro partecipazione agli organi di governo se si costituisce una società per azioni europea. Dall’altro, i rapidi e imprevedibili sviluppi della finanza e dei movimenti di capitale richiedono anche ai lavoratori di avere a disposizione strumenti utili per controllare e monitorare la dimensione operativa e finanziaria delle imprese.   
Nei programmi presentati di recente agli elettori si chiedevano esplicitamente misure per aumentare la “democrazia economica” e per favorire il coinvolgimento degli stakeholder nel governo societario. E non vi è dubbio che la ricerca da parte delle organizzazioni sindacali di nuove e più trasparenti regole di rappresentanza, contribuisce a rimuovere uno degli ostacoli che oggettivamente si pongono su questa strada.

GLI INTERESSI A CONTROLLARE

Bisogna, però, stare attenti non solo a cogliere l’occasione, ma anche a come la si coglie, perché il rischio è quello, sotto l’ombrello da tutti osannato della “democrazia economica”, di fare confusione.
Dare rappresentanza ai lavoratori nel governo dell’impresa può essere utile soprattutto se si guarda al loro interesse non tanto a gestire, e quindi a condividere le non poche e onerose responsabilità, ma a conoscere e controllare la gestione, attraverso ad esempio la possibilità di nomina di membri del collegio sindacale o anche di amministratori professionali e indipendenti. D’altronde, quando nel nostro ordinamento fu introdotto il sistema dualistico si pensava in origine proprio alla presenza nel consiglio di sorveglianza dei dipendenti, secondo note e consolidate esperienze estere. Ed è bene sottolineare che questa presenza era rimessa esclusivamente all’autonomia statutaria, senza cioè prevedere alcun obbligo, ma una sorta di incomprensibile furia ideologica portò all’esclusione anche di questa semplice possibilità.   

GLI INTERESSI A PARTECIPARE

Diverso invece è il terreno della partecipazione finanziaria dei lavoratori, e cioè degli eventuali incentivi al loro coinvolgimento diretto in quanto proprietari nell’impresa. Qui il rischio della introduzione di logiche distorsive del mercato, e di confusione dei ruoli che i diversi attori devono giocare, è molto alto.

Logiche distorsive che ovviamente non risiedono nel fatto che un dipendente possa comprarsi come e quando vuole azioni della sua società, ma che l’azionista in quanto dipendente sia destinatario di regole di governance diverse rispetto a qualsiasi altro azionista, o che, ancora peggio, l’impresa che incentiva l’azionariato dei lavoratori usufruisca di una sorta di statuto speciale o di particolari privilegi.
Senza considerare che già oggi le norme di diritto comune prevedono la possibilità di attribuire azioni o strumenti finanziari partecipativi ai dipendenti, anche legando a tali strumenti particolari poteri amministrativi, compresa la nomina di un membro del collegio sindacale. E il Testo unico della finanza lascia la facoltà agli statuti delle società quotate di individuare disposizioni per facilitare la raccolta delle deleghe di voto presso gli azionisti dipendenti.
azionista deve essere, in altri termini, trattato come azionista e basta, anche perché, come è tristemente noto, rischia qualche doloroso salasso, ed è bene che, soprattutto quando è un lavoratore, lo faccia in piena consapevolezza e secondo le regole e le tutele di mercato.
Un contributo ben più importante sul terreno della partecipazione potrebbe invece derivare dal rafforzamento delle forme di investimento collettivo. Ampliare la dimensione dei fondi pensione, incrementare le loro capacità non solo di investimento ma anche di “voice” nella governance societaria, potrebbe avere il duplice effetto di valorizzare i principi di democrazia economica e di far funzionare meglio i nostri mercati: e non è poco.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

  1. claudio

    Peccato non riprendere con più energia quanto i padri costituenti ci hanno mirabilmente indicato negli articoli 46 e 47 della Costituzione, che tutti, ma proprio tutti, ignorano o dimenticano da 60 anni…

    • La redazione

      Ringrazio i lettori per i commenti. Effettivamente  siamo in presenza di norme costituzionali che hanno generato un grande dibattito e alle quali gli innumerevoli progetti  di legge presentati nel corso delle passate legislature avevano cercato di dare attuazione, ma  senza successo. Forse adesso si è creato un clima economico diverso e idoneo a superare antiche resistenze, ma  a condizione, appunto come scrivevo nell’articolo, che non si faccia confusione."

  2. Tarcisio Bonotto

    A parte le difficoltà oggettive oggi, di un cambiamento di ruoli nella gestione aziendale, rimane pur sempre immanente il concetto che il modello a proprietà privata dei mezzi di produzione non tiene più. La sotto utilizzazione delle potenzialità fisiche, intellettuali e intuizionali, i crack aziendali che hanno messo in pericolo decine di migliaia di dipendenti, le delocalizzazioni per il maggiore profitto, i conflitti imprenditori/dipendenti/sindacati, chiedono un cambio di rotta. Il rapporto di lavoro dice R. Batra è di tipo medioevale, tra il Signorotto e i Servi della Gleba. Dovremmo tenere a mente che se le responsabilità economiche sono suddivise tra tutti si risana l’economia e vi è più incentivo a lavorare sodo. Il governo dovrebbe sostenere una politica di produzione/distribuzione cooperativa per i beni essenziali. Ciò aumenterebbe la distribuzione della ricchezza, eviterebbe fasi di depressione economica. E’ una cultura da crescere e faremmo meglio farlo in fretta, prima che crollino le certezze del mercato liberista, sommerso dai debiti e dalle sue contraddizioni interne. Le Coop Mondragon, dei paesi Baschi, sono un buon esempio alternativo.

  3. Maurilio Menegaldo

    Lasciando da parte il vasto campo della democrazia industriale ed economica, mi pare opportuno notare che la proposta di far intervenire nella governance d’impresa i fondi pensione, in particolare quelli negoziali che cominciano ad essere decisamente importanti anche nel nostro Paese, sia molto interessante e meriti di essere valutata a fondo soprattutto dalle organizzazioni sindacali. Infatti, una delle critiche più serie e argomentate ai fondi chiusi è proprio quella della difficoltà di controllo sugli investimenti e sull’andamento dei titoli in portafoglio. Attuare l’ingresso dei fondi negli organi di gestione e sorveglianza delle aziende potrebbe essere davvero un primo passo per sviluppare una forma di controllo "dal basso" sull’operato delle aziende stesse.

  4. Piero Stagno

    Credo che si possa rispolverare l’art. 46 della Costituzione (cui erano contrari CGIL e Confindustria): "Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende."

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