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NUOVE REGOLE PER IL GOVERNO DELLE BANCHE

Le disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche prospettate dalla Banca d’Italia, perseguono il lodevole obiettivo di portare chiarezza in un ordinamento societario che favorisce, invece, la confusione dei ruoli e delle responsabilità fra i vari organi della società. Tuttavia, sono costrette a suggerire soluzioni di dubbia efficacia non solo nel sistema monistico, ma anche nel dualistico qualora si attribuiscano al consiglio di sorveglianza poteri di indirizzo.

Il documento della Banca d’Italia"in materia di organizzazione e governo societario delle banche" dimostra perfetta consapevolezza del ruolo decisivo che l’organizzazione societaria svolge nell’assicurare la sana e prudente gestione delle banche e afferma con forza la necessità che in quell’ambito vengano individuate con precisione le funzioni svolte dai vari organi e le relative responsabilità.

Organizzazione societaria e confusione di ruoli

In questo tentativo di separazione dei ruoli e di attribuzione delle responsabilità, Banca d’Italia distingue fra a) la "supervisione strategica" che identifica nella funzione di "indirizzo e/o di supervisione strategica"; b) la "gestione sociale", identificata nella gestione corrente, intesa come attuazione degli indirizzi deliberati nell’esercizio della supervisione strategica e c) il controllo. Personalmente, definirei la supervisione strategica come "indirizzo strategico", dal momento che la funzione non si limita a controllare il rispetto delle linee strategiche, ma si estende alla loro formulazione. Tuttavia, la distinzione è sfumata, non si "presta a rigide schematizzazioni", come la stessa Banca d’Italia correttamente rileva, e può creare gravi problemi di sovrapposizione quando si cerchi di affermarla non all’interno dello stesso organo (amministratori delegati e consiglio di amministrazione) ma fra organi diversi.
E questa sovrapposizione di competenze è ancora più pericolosa quando vi siano organi che sono titolari, a un tempo, della funzione di controllo e di quella di supervisione e indirizzo strategico.
La confusione, dalla quale è immune il modello tradizionale (1), è inevitabile nel modello monistico, dove il controllo è affidato a un’articolazione del consiglio di amministrazione, e può verificarsi anche nel modello dualistico, qualora lo statuto, in applicazione dell’articolo 2409 terdecies, 1° comma lett. f bis preveda che il consiglio di sorveglianza "delibera in ordine alle operazioni strategiche e ai piani industriali e finanziari della società (..)".
In quest’ipotesi, quella distinzione di funzioni che la Banca d’Italia considera, giustamente, essenziale per assicurare un governo societario capace di garantire la sana e prudente gestione della banca, salta: il consiglio di sorveglianza svolge a un tempo funzioni di controllo e di indirizzo strategico, contigua alla gestione corrente. La distinzione fra le varie funzioni si annebbia, con gravi pericoli per la sana e prudente gestione della banca.

Sono inevitabili i sistemi alternativi?

Era inevitabile per l’autorità di vigilanza accettare a) che il modello monistico potesse essere adottato dalle banche, nonostante la sovrapposizione delle funzioni di indirizzo strategico e di controllo e b) consentire che gli statuti delle banche che adottano il modello dualistico attribuissero al consiglio di sorveglianza il ruolo, oltre che di organo di controllo, anche di organo di indirizzo?
A me non pare. L’articolo 53 del Testo unico bancario attribuisce alla Banca d’Italia il potere di emanare disposizioni di carattere generale avente per oggetto "l’organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni" e a me sembra che, sulla base di quella disposizione, l’organo di vigilanza avrebbe potuto decidere che il modello monistico non può mai essere adottato da una banca e che in quello dualistico non si possono attribuire al consiglio di sorveglianza funzioni di indirizzo strategico. Il fatto è che tutti gli statuti delle grandi banche nate dai processi di fusione prevedevano che il consiglio di sorveglianza avesse poteri di indirizzo strategico. E, come spesso accade, il reale diventa anche razionale. La Banca d’Italia ha, quindi, preso atto della realtà e ha cercato di limitare i danni che potrebbero derivare dalle confusioni di ruoli e lo ha fatto con riferimento sia al monistico sia al modello dualistico che attribuisce poteri di indirizzo al consiglio di sorveglianza.
Per quanto concerne il monistico, ha cercato di dare un briciolo di autonomia al comitato per il controllo sulla gestione, imponendo come necessaria la clausola, facoltativa secondo il diritto comune, che attribuisce all’assemblea il compito di nominare e revocare i componenti di quel comitato: ha quindi derogato al diritto comune che consentiva la loro nomina anche da parte del solo consiglio di amministrazione.

Il dualistico "corretto"

Più importanti, anche perchè di maggior rilevanza pratica per il nostro sistema bancario, sono gli interventi che il documento prevede per il (consentito) modello dualistico con attribuzione di poteri di indirizzo al consiglio di sorveglianza. Innanzitutto, si stabilisce che il presidente del consiglio di sorveglianza, atteso il suo ruolo di vertice dell’organo, non può far parte "del comitato per il controllo interno" e ciò allo scopo di enfatizzare e specializzare il ruolo di controllo di quest’ultimo. La disposizione è condivisibile, ma l’obiettivo di separare indirizzo e controllo nell’ambito del consiglio di sorveglianza può essere ostacolato dal fatto che il comitato per il controllo interno non è un organo a sé stante, ma rappresenta pur sempre una semplice articolazione del consiglio di sorveglianza.

Sempre per rafforzare la separazione tra consiglio di gestione e consiglio di sorveglianza il documento prevede che la "partecipazione" alle riunioni del consiglio di gestione è riservata ai componenti del comitato di controllo interno ed è preclusa agli altri componenti del consiglio di sorveglianza, ritenendo tale partecipazione "strettamente connessa allo svolgimento delle funzioni di controllo" e non a quelle di indirizzo. Anche questa norma merita consenso: dovrà, tuttavia, fare i conti con la disposizione dell’articolo 2409 terdecies, comma 4, secondo la quale "i componenti del consiglio di sorveglianza possono assistere alla adunanze del consiglio"; mi pare però che si tratti di una limitazione funzionale alla sana e prudente gestione delle banche e come tale legittima.
Infine, "il presidente del consiglio di sorveglianza non può rivestire cariche nel consiglio di amministrazione o nel consiglio di gestione di società controllate, anche congiuntamente, o collegate": la disposizione è condivisibile; anzi a me sembrerebbe coerente estendere il divieto a tutti i componenti del consiglio di sorveglianza (e, in particolare a quelli che compongono il comitato) e renderlo applicabile a tutte le società partecipate.
In definitiva, le disposizioni prospettate da Banca d’Italia meritano un giudizio decisamente positivo. Sono però costrette a suggerire soluzioni di dubbia efficacia non solo nel sistema monistico, ma anche nel dualistico qualora si attribuiscano al consiglio di sorveglianza poteri di indirizzo.

(1) Non si dica che audit commettee e collegio sindacale hanno competenze che si sovrappongono.

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  1. Marco Gemmi

    Lodevole il tentativo della Banca d’Italia di mettere ordine in una materia così delicata ma, al di là dei formalismi giuridici sulla struttura ottimale di governance, rimane a mio giudizio ancora inevaso il tema della responsabilità degli organi di controllo e di indirizzo nei confronti dei piccoli azionisti : la peculiare struttura di controllo delle banche italiane, che prevede ancora il ruolo dominante delle Fondazioni con la loro non sempre trasparente referenzialità al rispettivo retroterra politico-istituzionale, impedisce di adottare un modello organizzativo realmente efficace non tanto nel regolare i rapporti formali tra i vari organi societari ma soprattutto capace di garantire efficaci meccanismi di tutela dei veri soggetti deboli, cioè i piccoli azionisti. Discutere in punta di diritto se il presidente del consiglio di sorveglianza possa o meno presenziare alle riunioni del consiglio di gestione sembra solo un modo per eludere decisioni di ben altra portata : appare quindi piuttosto velleitario il tentativo di adattare alla realtà italiana modelli di governance mutuati da esperienze storiche di altre nazioni con ben altro livello di "democrazia societaria" rispetto al nostro Paese. Sintetizzando : vedremo mai delle vere public companies anche nel settore bancario ? avremo mai dei veri consiglieri indipendenti dotati di reali poteri di controllo ?

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