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Ma a Telecom serve una strategia industriale

Il dibattito su Telecom Italia si incentra per lo più su questioni societarie e economico-finanziarie, lasciando in secondo piano gli aspetti industriali. Invece la strategia industriale della società è un fattore importante per lo sviluppo del paese. E nel medio-lungo periodo ne è necessaria una che sappia coniugare la piena valorizzazione delle nuove tecnologie, la possibilità di rilanciare gli investimenti nel settore, la nascita di nuove imprese e la promozione del patrimonio di competenze e asset già acquisiti.

Il dibattito relativo a Telecom Italia si incentra spesso su questioni societarie e economico-finanziarie. Gli aspetti industriali sono trattati in modo più sfumato. In realtà, la strategia industriale di Telecom Italia è un fattore importante per lo sviluppo del paese. È quindi un tema cruciale che richiede una serie di approfondimenti e riflessioni.

Quali tecnologie per le Ngn2?

Il principale snodo industriale è costituito dallo sviluppo delle Next Generation Network. Possono utilizzare fibre ottiche fino all’utente (1) o fibra fino al nodo (2) e rame fino a casa con le tecnologie Adsl2 e Vdsl2. (3) La seconda opzione è tecnologicamente meno valida e richiede comunque il passaggio tra qualche anno alla fibra. Inoltre, Vdsl2 ha problemi di impatto ambientale (i box di distribuzione nelle strade), di maggiore consumo energetico e in generale di maggiore costo (Capex e soprattutto Opex) rispetto alla soluzione Ftth, Fiber To The Home, con reti ottiche passive. (4) La fibra offre poi una reale bidirezionalità, essenziale per uno sviluppo efficace di servizi innovativi.

Quali sono gli investimenti necessari?

Secondo recenti stime, l’investimento necessario per il singolo allacciamento nel caso di fibra passiva, tenendo conto dell’insieme degli interventi necessari sulla rete, si attesta sui 600-700 euro. Altre stime meno ottimistiche, riportate anche su diversi organi di stampa, parlano di cifre più vicine ai mille euro. Immaginando un servizio universale per oltre 20 milioni di utenze, se ne deduce un investimento complessivo di almeno 12-14 miliardi di euro. (5) È evidente che questi investimenti possono essere avviati solo in presenza di un chiaro quadro di sviluppo del mercato.
In questi anni, Telecom Italia ha difeso e valorizzato la propria rete in rame, puntando in primo luogo su tecnologie come Adsl2 e Vdsl2. Queste scelte si intrecciano con quelle di carattere economico-finanziario: il pay out ratio di Telecom Italia è superiore a quanto previsto dagli altri operatori europei, come ripetutamente osservato dagli analisti finanziari internazionali durante l’Investor Day tenutosi il 9 marzo scorso alla Borsa di Milano.

Quali saranno gli attori del futuro?

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L’evoluzione delle tecnologie di telecomunicazioni induce una crescente segmentazione orizzontale del mercato e la nascita di almeno tre tipi di attori:
Primo livello: gestori/proprietari di reti fisiche (fibra/doppini, infrastrutture/edifici).
Secondo livello: fornitori di servizi di comunicazione di base (provisioning del servizio di trasporto Ip, customer care, accesso internazionale, eccetera).
Terzo livello: fornitori di servizi applicativi (voce, video, eccetera).

Quante reti?

Visti gli investimenti richiesti, la competizione a livello di rete fisica (primo livello) rischia di non essere economicamente possibile. Secondo un report dell’Ofcom “the prospects of wide sale competitive access infrastructure is relatively low”. Né, d’altro canto, le attuali tecnologie wireless (incluso WiMax) sembrano poter costituire un’alternativa tecnologicamente convincente e diffusa alla rete fissa, se non per affrontare problemi di digital divide. Peraltro, il problema sussiste anche a livello di dorsali. Lo sviluppo di più dorsali alternative rischia di creare infrastrutture sottoutilizzate e quindi non in grado di garantire un adeguato ritorno degli investimenti.
Ha senso quindi esplorare scenari dove la stessa rete fisica sia usata per offrire un servizio all’ingrosso a una pluralità di attori che operano al secondo livello del mercato. È la strategia di segmentazione orizzontale del mercato perseguita, per esempio, da OpenNet in Svezia.

Come regolare lo sviluppo del mercato?

La costruzione di un’offerta wholesale richiede che si affronti il tema della separazione della rete di Telecom Italia. Tale separazione deve considerare i riflessi sull’intera infrastruttura di rete e non solo sull’accesso. Infatti, non è solo l’ultimo miglio a costituire un elemento di criticità. Per aumentare concorrenza e possibilità di innovazione nei servizi, è necessario considerare il problema della separazione tra chi offre servizi di trasporto e chi eroga servizi applicativi. Più in generale, è necessario affrontare il tema della net neutrality, cioè della garanzia di non discriminazione o penalizzazione nell’accesso alla rete.
La strategia complessiva dovrà favorire la nascita di un numero crescente di fornitori di servizi applicativi che “riempiano” le reti di dati, ottimizzandone l’utilizzo. È quanto sta già in parte accadendo con il progressivo affermarsi di servizi come YouTube, iTunes, MySpace, Skype.

Quale futuro, quindi, per un’azienda come Telecom Italia?

Telecom Italia opera su tutti e tre i livelli. Se il mercato evolverà verso una progressiva segmentazione orizzontale, dovrà attraversare una significativa fase di cambiamento.
Il primo passaggio sarà presumibilmente lo scorporo della rete con una nuova società da creare e quotare. Èipotizzabile una trasformazione per certi versi simile a quella di At&t, che separò le attività di sviluppo prodotti dalla gestione dei servizi di telecomunicazione (con la nascita delle baby Bell e di Lucent). Un altro caso molto significativo è la crescente spinta alla quale è sottoposta Microsoft da parte dell’Antitrust affinché separi in modo netto prodotti come Internet Explorer e Media Player (o servizi come Msn) dal sistema operativo Windows, al fine di favorire lo sviluppo di un mercato aperto e competitivo.
Certamente, cambiamenti di questa portata non possono avvenire in tempi brevi. Sarà necessario definire una strategia di medio-lungo periodo che sappia coniugare la piena valorizzazione delle nuove tecnologie, la possibilità di rilanciare gli investimenti nel settore, la nascita di nuove imprese e la promozione del patrimonio di competenze e asset di Telecom Italia.

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(1) Ftth: Fiber To The Home. È una soluzione che prevede la posa di fibra ottica fino a casa dell’utente. Garantisce alte prestazioni e bidirezionalità.
(2) Fttn: Fiber To The Node. Prevede la stesura di fibra fino a nodi intermedi. Da questi all’utenza, si utilizza ancora il doppino in rame esistente, attraverso tecnologie più recenti come Vdsl2.
(3) Adsl2 e Vdsl2. Sono tecnologie per portare la banda larga sul doppino telefonico. Permettono buone prestazioni (anche se inferiori rispetto alla fibra), ma sono tipicamente asimmetriche e favoriscono il download rispetto all’upload. Quindi sono più adatte alla fruizione di contenuti. Prevedono la posa di centraline di gestione nei pressi dell’utenza. Sono posizionate tipicamente sui marciapiedi o comunque nelle vicinanze dell’utenza e sono caratterizzate da un non irrilevante consumo energetico.
(4) Fibre attive e passive. La fibra ottica può essere gestita secondo due modalità. La prima prevede l’utilizzo di apparati attivi che “illuminano” la fibra nei punti di snodo della rete (rete attiva). Nel caso di fibra passiva (soluzione più recente), non si utilizzano apparati attivi. La seconda soluzione ha Capex e Opex più bassi.
(5) Nel recente Investor Day, il management di Telecom Italia ha prospettato investimenti industriali complessivi per il triennio 2007-2009 (sul mercato nazionale) pari a circa 11 miliardi di euro.

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Sommario 13 aprile 2007

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Francia-Italia, stessa partita anche in economia

  1. Paolo Barroero

    Ho letto con molto interesse il suo articolo e ne condivido l’analisi; il riferimento al caso AT&T mi lascia perplesso; mi spiego:
    (i) dopo il break-up voluto dal regolatore americano nel 1984, logiche economiche indussero ad una progressiva reintegrazione del settore; la più attiva delle Baby Bell, SBC, si ricomprò prima alcuni degli operatori locali e poi l’operatore “long distance” AT&T (quello che era rimasto dallo spin-off), poi il mobile (ex-Cingular).
    Lo stesso fece il principale concorrente di AT&T, Verizon;
    (ii) lo scorporo di Lucent che era un fornitore di apparecchiature di rete fu guidato dalla opportunità di estendere il mercato prima AT&T captive anche ai suoi concorrenti; tale modello trova già riscontro nel modello europeo.

    Vengo alla considerazione: credo che la segmentazione (del tipo proposto) sia (e funzioni quando) indotta dal mercato prima che dal regolatore; probabilmente l’esempio applicativo migliore non sono gli stati uniti degli anni 80/90 ma:
    (i) mercati competitivi, saturi o con scarsi margini di crescita laddove la segmentazione e la condivisione dei segmenti è una necessità per abbassare i costi di produzione dei servizi e mantenere la redditività del capitale investito.
    (ii) mercati emergenti con bassa capacità di spesa del cliente potenziale dove il business si deve reggere con margini medi per clienti pari a circa 1/4 o 1/5 di quello ottenibile su mercati sviluppati.

    • La redazione

      Il senso del commento relativo ad AT&T è che vi sono situazioni nelle quali la divisione societaria è uno strumento per favorire l’apertura e lo sviluppo del mercato. Nel caso AT&T era la divisione tra le due anime di operatore e di fornitore di apparati; nel caso di Telecom Italia, la
      divisione tra gestione del trasporto e fornitura di servizi applicativi (incluso il VoIP).
      In effetti, come ho cercato di spiegare nell’articolo, questa segmentazione orizzontale del mercato delle telecomunicazioni nasce proprio da un cambiamento tecnologico. L’azione del regolatore dovrebbe accompagnare
      questo processo.

  2. Massimo Fubini

    Sulla neutralità della rete, argomento centrale nel caso in cui venisse acquistata anche la rete fisica di trasporto (ma anche se restando nelle attuali condizioni) oltre ad un mio pezzo (http://www.lavoce.info/news/view.php?id=44&cms_pk=2300&from=index) segnalo anche un interessante intervista di luca De Biase al sociologo Manuel Castells uscita sul numero 71 di Nova del 5 aprile

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