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E la previdenza cade sul “pilastrino”

FondInps si configura come un “pilastrino” pubblico aggiuntivo con tre peculiarità: riguarda solo una parte dei lavoratori dipendenti; ha un patrimonio instabile data l’elevata liquidità del Tfr; prevede la liquidazione dell’intero montante capitalizzato al momento dell’uscita dal lavoro. Se poi fosse solo temporaneo, si sarebbero alterati gli assetti strutturali del sistema per dare opaca soluzione a un problema congiunturale di bilancio. Mentre la completa eliminazione del rischio finanziario minaccia la convenienza stessa della previdenza complementare.

Le sette domande, che Tito Boeri e Agar Brugiavini  hanno posto al ministro del Lavoro, Cesare Damiano, toccano aspetti rilevanti e, spesso, poco chiari delle modifiche che la legge Finanziaria e i regolamenti ministeriali stanno introducendo rispetto al già controverso decreto legislativo sulla previdenza complementare, approvato dal governo Berlusconi nel dicembre 2005. Pur tenendo conto delle risposte del ministro e delle recenti direttive emanate dalla Covip, due punti suscitano le più gravi preoccupazioni.

Il fondo gestito dall’Inps

Il primo punto riguarda il trasferimento al fondo statale, gestito dall’Inps (FondInps), dei flussi di Tfr di quei lavoratori che sono occupati in imprese con almeno 50 dipendenti e che decidono in modo esplicito di non aderire ad alcuna forma pensionistica complementare (ossia a un fondo pensione contrattuale, a un fondo pensione aperto o a un Pip). Dal momento che FondInps assicurerà le stesse condizioni di rendimento e di liquidazione proprie al Tfr finora allocato presso le aziende, per il singolo lavoratore non sembra cambiare nulla. In realtà, FondInps introduce surrettiziamente modifiche strutturali all’assetto previdenziale disegnato dalla riforma Dini. Come viene riconosciuto in un recente emendamento governativo all’articolo 84 della Proposta di legge finanziaria, si tratta infatti di un fondo a ripartizione (contributiva) che poggia su un meccanismo virtuale di capitalizzazione del tutto analogo all’attuale pilastro pubblico. FondInps si configura così come un “pilastrino” pubblico aggiuntivo caratterizzato da tre distorsive peculiarità: riguarda solo una parte dei lavoratori dipendenti; ha un patrimonio instabile data l’elevata liquidità del Tfr; prevede la liquidazione dell’intero montante capitalizzato al momento dell’uscita dall’età lavorativa. Che FondInps vada equiparato a un nuovo “pilastrino” pubblico è, del resto, confermato dall’atteggiamento tollerante delle autorità statistiche europee: negare il beneplacito all’operazione italiana comporterebbe una richiesta di emersione del debito pensionistico nascosto negli schemi a ripartizione di tutti i paesi dell’Unione europea.
Il sistema previdenziale italiano, che era stato costruito sui classici tre pilastri dalle riforme degli anni Novanta e che era stato sostanzialmente ridotto a due dalle revisioni normative nella prima metà degli anni Duemila (con l’assimilazione fra previdenza complementare ad adesione collettiva e previdenza integrativa ad adesione individuale), torna così a essere strutturato su tre pilastri. Peccato che, a differenza degli altri paesi economicamente avanzati, i primi due pilastri siano pubblici e a ripartizione e che, per una parte dei lavoratori, assorbano contributi pari al 40 per cento della retribuzione lorda.
Queste mie critiche potrebbero apparire troppo severe se si prestasse fede a una voce ricorrente: FondInps si approprierà dell’intero flusso del Tfr, che i lavoratori occupati in aziende con almeno 50 dipendenti matureranno nel primo semestre del 2007, e sarà poi abrogato dalla legge Finanziaria per il 2008. Tale voce trova qualche riscontro nel memorandum di intesa fra il governo e le parti sociali del 19 ottobre e nelle modifiche terminologiche introdotte nell’emendamento governativo all’articolo 84. Contrasta, però, con articoli non modificati del decreto legislativo approvato dal governo Berlusconi nel dicembre 2005. Soprattutto, essa viene parzialmente smentita dalla prima risposta del ministro. Questa risposta implica infatti che FondInps si approprierà: (1) del flusso di Tfr, maturato nel primo semestre del 2007, per i soli lavoratori occupati in aziende con almeno 50 dipendenti che rimarranno silenti o che rifiuteranno l’adesione alla previdenza complementare in modo esplicito; (2) del flusso di Tfr, maturato dal 1 gennaio 2007 fino alla data di opzione a favore di una forma complementare, per i lavoratori occupati in aziende con almeno 50 dipendenti che decideranno in quel semestre di aderire alla previdenza complementare in modo esplicito. Ciò non esclude che FondInps possa essere temporaneo. Se così fosse, il vulnus inflitto al sistema previdenziale italiano sarebbe ancora più grave: si sarebbero alterati gli assetti strutturali del sistema per dare opaca soluzione a un problema congiunturale di bilancio.

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Adesione tacita e garanzie assicurative

Il secondo punto che intendo esaminare, riguarda l’investimento del Tfr in caso di adesione tacita a una forma pensionistica complementare. L’articolo 8 (comma 9) del decreto legislativo di dicembre 2005 prevede che, in quel caso, i flussi di Tfr vadano collocati “nella linea a contenuto più prudenziale” così “da garantire la restituzione del capitale e rendimenti comparabili […] al tasso di rivalutazione del Tfr”.
In termini di teoria della finanza, si tratta di una prescrizione normativa ambigua. Qual è la linea di investimento più prudenziale per un giovane lavoratore con un lungo orizzonte temporale di lavoro? Un comparto monetario, come risponderebbe un profano, oppure un comparto diversificato, ma con una forte componente azionaria, come risponderebbero vari esperti? E cosa si deve intendere per garanzia? Una garanzia di tipo assicurativo, che dia la certezza di un rendimento nominale positivo allineato a quello del Tfr al momento del pensionamento o del riscatto, oppure una garanzia finanziaria in grado di minimizzare in ogni punto del tempo la probabilità di rendimenti reali inferiori a una data soglia?
È evidente che le diverse risposte a questi interrogativi suggeriscono opposte strategie di investimento. Nelle recenti direttive la Covip fornisce un’interpretazione molto restrittiva rispetto alla garanzia sul mantenimento del capitale monetario e un’interpretazione molto lasca rispetto alla garanzia sull’allineamento dei rendimenti a quelli del Tfr. Stabilisce infatti che la linea di investimento “più prudenziale” debba: (i) “assicurare con certezza il risultato della restituzione integrale del capitale [monetario], al netto di qualsiasi onere (…)”, al momento del pensionamento o nei casi previsti di riscatto totale; (ii) erogare “con elevata probabilità rendimenti che siano pari o superiori a quelli del Tfr, quantomeno in un orizzonte temporale pluriennale”. Temo che la combinazione fra una richiesta di garanzia in senso stretto, rispetto al capitale monetario, e poco più di una “raccomandazione”, rispetto all’allineamento di lungo periodo dei rendimenti a quelli del Tfr, abbia l’effetto di schiacciare la linea “più prudenziale” su portafogli molto liquidi o sulla costosa acquisizione di opzioni put protettive per i patrimoni dei singoli aderenti. In ambedue i casi le probabilità di realizzare, anche nel lungo periodo, rendimenti allineati a quelli del Tfr appaiono assai contenute; e gli aderenti più sacrificati sono i giovani con un più esteso orizzonte temporale.
Tale conclusione dipende dal fatto che la completa eliminazione del rischio finanziario ha costi così elevati da minare la convenienza stessa della previdenza complementare. Senza essere speculativi, gli investimenti dei fondi pensione comportano necessariamente una componente di rischio finanziario che può essere minimizzata ma non eliminata mediante varie strategie finanziarie (per esempio “gestioni dinamiche” con strategie di hedging).
Altri aspetti del quadro normativo, che accompagnerà il meccanismo delle adesioni tacite alla previdenza complementare, suscitano perplessità. Tuttavia, già i due punti esaminati minacciano il futuro dei nostri fondi pensione.

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  1. Antonio p

    Nel suo brillante articolo afferma che “FondInps si approprierà: (1) del flusso di Tfr, maturato nel primo semestre del 2007, per i soli lavoratori occupati in aziende con almeno 50 dipendenti che rimarranno silenti o che rifiuteranno l’adesione alla previdenza complementare in modo esplicito (…)
    Credo tuttavia che se il lavoratore rimanga silente il suo Tfr venga destinato alla previdenza complementare e non a fondinps (mi pare di aver capito che il silenzio-assenso opera sempre e comunque a favore della previdenza complementare, anche nelle aziende con più di 50 dipendenti).
    gradirei una sua precisazione sul punto
    saluti

    • La redazione

      Ecco la mia risposta all’interessante quesito del lettore.

      Il commentatore ha ragione nell’affermare che, dopo il primo semestre 2007, il Tfr del lavoratore silente è comunque destinato alla previdenza complementare a prescindere dalle dimensioni dell’impresa, in cui tale lavoratore è occupato. Il problema, che affronto nel mio articolo, è però un
      altro: che cosa succede al flusso di Trf dei lavoratori dipendenti silenti nel primo semestre del 2007, ossia nel semestre durante il quale si prendono le decisioni di adesione o meno. Rispondendo alle domande de “la voce” il
      ministro del Lavoro fa – al riguardo – due affermazioni rilevanti e – a mio avviso – rispondenti alle attuali proposte normative:
      (1) Il Tfr dei lavoratori, che decidono esplicitamente di aderire alla previdenza complementare, verrà trasferito alla forma complementare prescelta il 1 luglio 2007; e l’ammontare di Tfr, così trasferito, sarà calcolato solo dalla data in cui questa decisione è presa e dichiarata.
      (2) I lavoratori dipendenti hanno sei mesi di tempo per decidere se aderire esplicitamente a una forma di previdenza complementare, se rimanere silenti oppure se rifiutare esplicitamente l’adesione.
      Il punto (2) implica che, prima dell’ultimo minuto lavorativo del 30 giugno, ogni lavoratore dipendente – rimasto fino ad allora silente – ha ancora aperte le tre alternative appena specificate. Pertanto, dato il punto (1), a me pare inevitabile trarre la seguente deduzione dalle parole del ministro:
      i flussi di Tfr dei lavoratori silenti saranno trasferiti a un fondo
      pensione o al fondo Inps residuale (da non confondere con il fondo pubblico gestito dall’Inps, che nell’articolo denominavo FondInps) solo il 1 luglio 2007; e l’ammontare di Tfr, così trasferito, andrà calcolato solo dal momento in cui tali lavoratori avranno assunto la posizione di aderenti
      silenti – ossia dalla fine della giornata del 30 giugno 2007. Da ciò ne segue quanto da me affermato nell’articolo: dal 1 gennaio al 30 gigungo 2007 i flussi di Tfr dei lavoratori dipendenti silenti, occupati in aziende con almeno 50 addetti, andranno al FondInps a ripartizione.
      Certo è che, se la mia deduzione logica dai punti (1) e (2) trovasse conferma nella versione finale della Legge finanziaria, apparirebbe evidentissimo il carattere di “una tantum” (di una parte consistente) dell’entrata netta di 6 miliardi di euro che la proposta di Legge finanziaria si aspetta di realizzare mediante FondInps.
      Marcello Messori

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