Nella campagna elettorale si è discusso molto poco di temi regionali. Forse perché il processo di decentramento è in una fase di ripiegamento. E se sarà approvata, la nuova riforma costituzionale è destinata ad accentuare ancora di più la confusione legislativa. Un peccato perché il decentramento potrebbe essere un importante elemento nella strategia di recupero d’efficienza del paese. Basta pensare al Nord Europa, dove i governi locali controllano più del 50 per cento delle risorse. Sono anche i paesi europei che crescono di più.

I risultati delle elezioni regionali sono ormai pubblici. I commenti, se vi saranno, visto che il mondo dell’informazione pare per ora interessato a tutt’altro, si incentreranno esclusivamente sui riflessi che il voto avrà sulla forza relativa dei due poli o dei singoli partiti in vista delle elezioni politiche del 2006. Interrogativi senza dubbio legittimi e importanti, che dimenticano però l’oggetto principale di queste votazioni, e cioè le Regioni italiane. Del resto, né la stampa né la stessa campagna elettorale è parsa particolarmente interessata a discutere di temi propriamente regionali o del destino delle Regioni. Forse non a caso, ma comunque un peccato, visto la rilevanza del tema.
Qualche riflessione è dunque opportuna.

Un problema irrisolto

In primis, il problema dell’articolazione territoriale dei poteri appare tutt’altro che risolto nel nostro paese. Dopo l’ondata di decentramento amministrativo e fiscale della seconda metà degli anni Novanta, il processo sembra si sia incartato, senza riuscire ad approdare a una configurazione stabile.  Difficile per esempio dire esattamente per cosa abbiamo votato in queste elezioni, cioè quali sono le funzioni che i governi regionali svolgono e con quali risorse vi fanno fronte. Secondo la Costituzione attuale, approvata nel 2001, le Regioni godono di ampi poteri legislativi e di un sistema di finanziamento largamente autonomo. Funzioni e risorse che però in larga misura esistono solo sulla carta. Le nuove competenze attribuite alle Regioni dalla riforma del 2001 non sono state esercitate che in minima parte.
La politica ha poi abdicato interamente al proprio ruolo su questo fronte: dopo un inizio promettente, l’effettiva attuazione del nuovo Titolo V è stata completamente lasciata nelle mani della Corte costituzionale, chiamata a dirimere un contenzioso crescente tra Stato e Regioni. Mani sapienti, ma che agiscono necessariamente in modo piecemeal, su ricorso di una delle due parti, senza un disegno organico d’interpretazione del nuovo testo, che è invece esattamente quello di cui avremmo avuto bisogno. Di ulteriori risorse e di un nuovo sistema di finanziamento, poi, non c’è traccia. Dopo anni di rinvii e una pratica del Governo nazionale opposta a quella del decentramento finanziario, l’ultima novità è che l’attuazione dell’articolo relativo alle nuove forme di finanziamento viene rimandata al triennio successivo alla approvazione della nuova riforma costituzionale. Con in più ulteriori vincoli sull’invarianza della pressione fiscale complessiva, che lo rendono di fatto inattuabile.

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La nuova riforma costituzionale

Di fronte a questi rilievi, gli esponenti della maggioranza di Governo generalmente rispondono che il Titolo V era di per sé inattuabile e che per questo è stato necessario imbarcarsi in una nuova e organica riscrittura della Costituzione. Riscrittura che, difatti, ha impegnato le due Camere per parecchi mesi. E probabilmente continuerà a impegnarle anche in quelli restanti della legislatura. Senza entrare nei dettagli della nuova proposta di riforma costituzionale, tre aspetti devono però essere sottolineati. Primo, il rapporto tra governi gioca un ruolo del tutto marginale in questa proposta, tant’è che il Titolo V viene lasciato sostanzialmente immutato. Di rilievo molto maggiore sono le proposte relative alla forma di Governo e a quella dello Stato, entrambe assai discutibili. Secondo, quello che c’è di nuovo sul fronte delle competenze regionali, la cosiddetta devolution, appare marginale rispetto al decentramento già introdotto con la riforma del Titolo V e mai applicato. Terzo, quest’ulteriore decentramento è poi accompagnato da tali vincoli legislativi e da una struttura decisionale così barocca da rendere difficile immaginare che i nuovi poteri regionali possano mai essere davvero esercitati. La confusione legislativa sarà il vero risultato di questa riforma, se mai essa sarà approvata e sopravvivrà al referendum.

La situazione attuale

Nel frattempo, le Regioni navigano a vista, sia sul fronte delle competenze che delle risorse. Con conseguenze non da poco sulla stessa qualità della competizione politica, visto che la mancanza di una cornice chiara di responsabilità rende difficile per i cittadini valutare il ruolo svolto dai singoli governi regionali. Si pensi per esempio alle principali funzioni svolte adesso dalle Regioni, come la sanità o i trasporti locali: dove il leit motiv della campagna elettorale è stato lo scaricare sullo Stato, cioè sul suo insufficiente finanziamento, le difficoltà attuali. Si noti anche, a questo proposito, che il definitivo ripudio del decreto legislativo 56/2000  ha privato il sistema delle Regioni di un chiaro e coerente modello di finanziamento per il futuro, lasciandole in balia alla contrattazione politica annuale con il Governo nazionale. Fortunata questa volta, per la prossimità con le elezioni, ma ignota per il futuro. Infine, il principale tributo delle Regioni, l’Irap, è in fase di smantellamento e non si sa da che cosa potrà essere sostituito. Il rischio di un ritorno ai trasferimenti vincolati, cioè all’opposto dell’autonomia, è molto serio.
Non è dunque forse un caso che in queste elezioni si sia parlato molto di temi nazionali e molto poco di quelli regionali, visto che lo status dei governi regionali è quantomeno confuso e appare casomai in fase di ripiegamento. È un peccato perché così si perde uno dei principali vantaggi del federalismo, l’assunzione di responsabilità dei governi locali. È anche un peccato perché il decentramento dei poteri potrebbe essere un importante elemento di una strategia di recupero d’efficienza del paese. Si osservi a questo proposito che tutti i principali paesi europei hanno fortemente decentralizzato risorse e competenze negli ultimi anni, perfino la centralissima Francia. Non lo hanno fatto solo i paesi nordici. Ma lì, i governi locali già controllano più del 50 per cento delle risorse. Per inciso, sono anche i paesi europei che crescono di più.

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