La Cina ha conosciuto negli ultimi vent’anni una crescita dirompente, che ha portato il paese asiatico a superare i suoi problemi di povertà e a integrarsi sempre più nell’economia mondiale. E’ un successo che influenza tutto il mondo, ma che dà luogo anche a diffuse preoccupazioni, per lo più ingiustificate. Molti paesi infatti possono beneficiare dello sviluppo cinese, a patto che sappiano far tesoro di un insegnamento: le economie devono rimanere flessibili e pronte a garantire efficaci reti di protezione sociale ai perdenti.

L’andamento economico della Cina negli ultimi venti anni è invidiabile. Il suo prodotto interno lordo è cresciuto a un tasso annuo medio di oltre il 9 per cento e la sua quota di commercio mondiale è passata da meno dell’1 per cento al 5,5 per cento. Di conseguenza, la Cina produce oggi il 13 per cento del Pil mondiale (valore a prezzi costanti), è il quarto paese per commercio ed è il paese che raccoglie più investimenti diretti dall’estero.

Un successo senza svalutazioni

Il successo economico della Cina non è il risultato di svalutazioni competitive o di altre politiche del tipo “riduci in miseria il tuo vicino”. Lo sforzo riformatore della Cina è impressionante e duraturo quanto la sua performance economica. Il continuo processo di trasformazione da una economia dirigista a una economia relativamente liberalizzata è solo il fattore più importante dietro il successo economico cinese negli ultimi venticinque anni (vedi Prasad). Altrettanto cruciale è stata la crescente integrazione della Cina nell’economia mondiale, un’integrazione che è intimamente legata alla sua liberalizzazione, ed è simbolizzata e enfatizzata dalla recente ammissione alla Wto.
Il regime di cambio fisso adottato dalla Cina, invece, ha poco a che fare con i suoi recenti passi avanti nell’economia mondiale. Soltanto pochi anni fa, nel dopo crisi asiatica del 1997-98, l’economia mondiale temeva una svalutazione del renminbi. E per la verità, i regimi di cambi fissi sono stati spesso utilizzati per controllare l’inflazione in paesi a basso o medio reddito (come pure in quella che è oggi l’area euro) in assenza di altre ancore credibili per la stabilità monetaria. I costi principali di una simile strategia di politica monetaria sono interni: perdita di indipendenza monetaria e, in presenza dell’emergere di sistemi finanziari per forza di cose ancora fragili (il tallone d’Achille della Cina?), la distorsione degli incentivi per guidare efficacemente la componente di valuta del bilancio.
Ovviamente, è la Cina stessa che ottiene i maggiori vantaggi dalla sua rapida crescita e dalla integrazione continua nell’economia globale. L’economia della Cina ha conosciuto una straordinaria trasformazione strutturale con una crescita della produttività su larga base e un settore industriale competitivo e in espansione, capace di assorbire i disoccupati e i sotto-occupati del settore agricolo. Il risultato degli ultimi vent’anni non è solo l’incremento del reddito medio, ma anche una significativa riduzione della percentuale di popolazione che vive in povertà (dal 53 per cento nel 1981 all’8 per cento nel 2001, vedi Ravallion and Chen).

Leggi anche:  Chi paga le conseguenze se Pechino rallenta

Il miracolo cinese e il resto del mondo

Il recente “World Economic Outlook” del Fondo monetario internazionale ha documentato come l’impatto sul resto del mondo, anche se più limitato, sarà comunque benefico.
Le economie avanzate hanno trovato in Cina un mercato in rapida crescita per le loro esportazioni finali e opportunità di investimento molto vantaggiose, oltre a essersi avvantaggiate di importazioni di prodotti ad alta intensità di lavoro meno costose. I paesi vicini hanno beneficiato molto dalla crescita della domanda cinese di prodotti intermedi, che vengono lavorati e riesportati al di fuori della regione. Altri paesi in via di sviluppo produttori di materie prime (incluse molte delle povere economie africane) vedranno crescere le opportunità per le loro esportazioni verso il mercato cinese. Inoltre, la Cina sta esercitando una “pressione dei pari” su altri grandi paesi a reddito medio-basso, incoraggiandoli a introdurre ulteriori riforme interne. Tuttavia, paesi i cui fattori produttivi sono simili a quelli della Cina e che con la Cina competono più da vicino sui mercati mondiali, possono essere penalizzati dalla sua crescita. Queste preoccupazioni riguardano in particolare i paesi specializzati in attività manifatturiere ad alta intensità di lavoro, che potrebbero subire perdite, soprattutto nel breve periodo.

Quali risposte

Protezionismo commerciale o sussidi su larga scala (invocati da alcuni sia negli Stati Uniti sia in Europa) o un rallentamento del processo di liberalizzazione difficilmente possono rappresentare una valida risposta alla crescita cinese. Può anche darsi che il protezionismo rechi qualche danno alla Cina, ma di sicuro avrebbe effetti decisamente negativi sul resto del mondo, e in particolare sulle imprese e i consumatori che stanno traendo vantaggi dall’integrazione dell’economia cinese. Rallentare le riforme non è certo la ricetta ideale per competere con successo nell’economia mondiale. Invece, una giusta risposta alla maggiore integrazione della Cina nell’economia mondiale comporterà una significativa mobilità intersettoriale. Le economie devono raggiungere una ancora maggiore flessibilità nei loro mercati dei prodotti e del lavoro, eliminando gli ostacoli alla competizione e facilitando il riassorbimento dei lavoratori meno qualificati, cosicché le risorse possano orientarsi verso i settori più produttivi. Tuttavia, i paesi devono anche aumentare gli investimenti nella formazione e nella riqualificazione dei lavoratori ed essere pronti a fornire reti di protezione sociale appropriate per i perdenti nel passaggio a nuove forme di produzione e di consumo, inclusi in particolare i lavoratori meno qualificati. Ma soprattutto la recente esperienza della Cina dimostra che la globalizzazione non è un gioco a somma zero, e che i vantaggi potenziali sono molti e diffusi.
Strategie di crescita trainate dalle esportazioni e integrazione nell’economia globale possono non solo dimostrarsi di grande successo, ma possono anche aiutare a ridurre la povertà. Tuttavia, le economie devono essere flessibili e pronte a garantire adeguate forme di protezione sociale per competere in modo efficace e ricevere benefici da questa integrazione.  Solo coloro che mancano della flessibilità per adattarsi a un’economia mondiale in cambiamento e non sostengono gli aggiustamenti con risorse adeguate, hanno ragione di temere la Cina.

Leggi anche:  Aspettando Godot: il dopo-elezioni in Spagna

Per saperne di più

IMF, 2004, World Economic Outlook April 2004: Advancing Structural Reforms, Ch. 2,
www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2004/01/pdf/chapter2.pdf
Prasad, Eswar, ed., 2004, “China’s Growth and Integration into the World Economy: Prospects and Challenges,” IMF Occasional Paper 232,
www.imf.org/external/pubs/ft/op/232/op232.pdf
Ravallion, Martin, and Shaohua Chen, 2004, “Learning from Success,” Finance & Development December 2004: 16-19, www.imf.org/external/pubs/ft/fandd/2004/12/pdf/ravallio.pdf

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Riglobalizzazione selettiva: un "terzo incomodo" tra Cina e Stati Uniti? *