L’8 marzo è la festa della donna. Ma la composizione demografica mondiale rivela una alta mortalità femminile, con la “sparizione” di cento milioni di donne. In alcune parti del mondo, infatti, il loro status è influenzato da un coacervo di fattori biologici, sociali e culturali che le costringe in una posizione di handicap sociale. Eppure, la Dichiarazione di Pechino del 1995 ha sancito il principio politico dell’uguaglianza dei sessi come base per lo sviluppo e la pace. Allora, andrebbero ripensate le politiche pubbliche, tenendo conto delle necessità del sesso femminile. Francesco Daveri e Fausto Panunzi commentano l’articolo.

C’è poco da festeggiare, di Alessandro Magnoli

Nel mondo, più di cento milioni di donne mancano all’appello, quasi fossero scomparse nel nulla. (1) L’inquietante fenomeno è portato alla luce dall’analisi di un semplice indice statistico: la composizione demografica della popolazione. In teoria, infatti, gli individui di sesso femminile dovrebbero costituire, più o meno, il 52 per cento di ogni popolazione. (2) In pratica, tale proporzione non ha riscontro nelle statistiche internazionali: mentre le donne costituiscono il 52,5 per cento della popolazione nel mondo industrializzato, ammontano solo al 51 per cento nell’Africa sub-sahariana, a meno del 48 per cento in Asia dell’Est e a meno del 47 per cento in Asia del Sud. Cosa è successo a queste donne? Perché ne mancano cento milioni? La risposta suona purtroppo sinistra: alta mortalità femminile. (3)
Le cause di questo fenomeno, come sempre, sono molteplici e altamente correlate tra loro.

Abusi e condizioni sfavorevoli

In quasi tutti i paesi, l’eccesso di decessi si deve, per lo più, alla difficile condizione della donna. In alcune aree dell’Asia si pratica la selezione sessuale: si eliminano le bambine tramite aborto e infanticidio. In tutto il mondo in via di sviluppo l’abuso del sesso maschile sul femminile è caratteristica comune, e va dalla violenza, fisica e psichica, alla vessazione sessuale. I motivi sono i più disparati: la dote, la gestione della casa, o l’educazione dei figli. Inoltre, le donne hanno scarso accesso non solo ai metodi anticoncezionali, ma anche alle cure minime e necessarie alla gestazione, una volta incinte; ne risulta un’alta mortalità legata alla maternità. Infine, le donne sono particolarmente vulnerabili a problemi – quali la malnutrizione e le malattie a trasmissione sessuale, ampiamente ignorati o considerati tabù dalla maggioranza dei Governi.
In generale, lo status delle donne è influenzato da un coacervo di fattori biologici, sociali e culturali che sono altamente interrelati. In varie nazioni in Africa, Asia del Sud, America Latina e Medio Oriente, una ragazza su quattro si sposa prima del suo quindicesimo compleanno. In svariati paesi, tra un terzo e metà delle donne sono madri prima di raggiungere il ventesimo anno di età.  Ovunque, il sesso femminile riceve meno informazioni del sesso maschile e ha un minor controllo dei processi decisionali e delle risorse della famiglia. In poche parole, le donne si trovano in una posizione di handicap sociale, che è spesso connessa al valore economico dei ruoli familiari. In un circolo vizioso, le maggiori conseguenze che ne seguono sono educazione insufficiente, alimentazione inadeguata, gravidanze precoci e frequenti, e salute precaria.

Investire sulle donne

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Politici, economisti e sociologi non sono quasi mai d’accordo. Ma in questo campo lo sono, e per tutti, l’obiettivo è chiaro: bisogna migliorare la condizione della donna. Nel 1995, la Dichiarazione di Pechino, ultima tra le tante, ha sancito il principio politico dell’uguaglianza dei sessi come base per lo sviluppo e la pace. (4)
Le donne costituiscono la metà (dimenticata) della popolazione mondiale, e la loro inclusione sociale porterebbe benefici a tutti. In campo economico, ricerche empiriche hanno dimostrato che donne e ragazze lavorano più degli uomini, investono i loro risparmi nei loro figli, e si assumono la responsabilità della famiglia. Senza di loro, uomini e bambini avrebbero gravi difficoltà a sopravvivere e a essere produttivi. Infine, se alle donne fosse concesso un maggior potere nella gestione di comunità e società, molte cose cambierebbero (radicalmente), tra le quali i trend demografici, con conseguenze significative su crescita economica e sostenibilità ambientale. Insomma, le donne sono importanti come individui, come produttori e consumatori, e come agenti di cambio sociale. È ora di prestar loro più attenzione.  Una quantità ormai innumerevole di studi ha dimostrato che gli investimenti nell’educazione e salute delle donne conducono a una crescita economica sostenibile. Elevati standard sanitari permettono alle donne una vita pienamente produttiva, con ampi benefici per l’economia nazionale. In particolare, la salute delle donne ha un importante impatto sulla salute e sulla produttività delle generazioni future. L’educazione femminile ha effetti rilevanti su ogni dimensione dello sviluppo, dal miglioramento dei risultati scolastici dei figli e delle figlie alla maggiore produttività, alla accresciuta capacità di gestione ambientale.
Insieme, tutti questi fattori possono significare una crescita economica più rapida e, cosa altrettanto importante, una più amplia distribuzione dei frutti della crescita e un aumento della coesione sociale. Un miglioramento della condizione della donna è dunque, condizione necessaria per politiche di sviluppo più efficaci. Le politiche pubbliche devono essere ripensate tenendo conto delle necessità del sesso femminile, per creare nuovi servizi sociali per la donna e migliorare la qualità di quelli esistenti. È arrivato il momento di spendere per lo sviluppo delle donne, perché son soldi ben spesi.
Nei paesi in via di sviluppo i problemi relativi alla salute e all’educazione delle donne rappresentano, in termini strettamente economici, un’opportunità: sono investimenti altamente cost-effective, e ridirigere la spesa pubblica verso questi interventi migliora l’efficienza allocativa. In parole semplici, con pochi soldi si risolvono molti problemi: si migliora l’uso delle risorse e si aumenta il benessere di tutti.

Per saperne di più

Sen, Amartya (with contributions by John Muellbauer, Ravi Kanbur, Keith Hart, Bernard Williams), 1987, “The Standard of Living”, Edited by Geoffrey Hawthorn, Cambridge University Press, Cambridge.

(1) Secondo i calcoli di Amartya Sen, 1987. Per dettagli, si veda: http://www.unifem.org/

(2) Si tratta di una costante biologicamente determinata. Da un lato, nascono più donne che uomini. Dall’altro, le donne vivono di più: a parità di condizioni, alla nascita la speranza di vita di una donna è 1,03 volte quella di un uomo (le donne vivono il 3 per cento in più).

(3) Nella composizione femminile della popolazione una parte della differenza può essere causata da errori nel censimento e dagli effetti di movimenti migratori.

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(4) Nel 1995, a Pechino, la Fourth World Conference on Women adottò la “Dichiarazione e strategia di Pechino” (Beijing Declaration and Platform for Action). Per maggiori informazioni, si veda: http://www.un.org/womenwatch/. Per approfondimenti in italiano e per il testo integrale, si veda: http://www.onuitalia.it/calendar/pechino.html

Il mistero delle donne mancanti e l’8 marzo, di Francesco Daveri e Fausto Panunzi

Alessandro Magnoli, nel suo articolo “C’è poco da festeggiare”, riporta una nota osservazione di Amartya Sen. Nel 1992, in un articolo sul British Medical Journal, Sen osservò che la proporzione di donne sul totale della popolazione nei paesi dell’Asia Sud-orientale (soprattutto in Cina e India) era troppo bassa per essere semplicemente il risultato di sottostanti andamenti demografici. Sulla base delle sue valutazioni, infatti, circa 100 milioni di donne asiatiche mancavano all’appello “demografico”. Le cause del fenomeno secondo Sen non erano biologiche, ma sociali: in contesti in cui una figlia femmina “vale meno” di un figlio maschio, la diffusione dell’aborto selettivo porta ad un’accresciuta pratica discriminatoria alla nascita nei confronti delle potenziali figlie femmine. Da allora, il “mistero delle donne mancanti” è stato un po’ ridimensionato quantitativamente, ma non qualitativamente. Governanti e studiosi lo hanno considerato un esempio palese di discriminazione nei confronti delle donne, in aggiunta ad altri meccanismi legati all’istruzione, alla sanità e alla distribuzione dei rapporti di forza all’interno delle famiglie.

Dopo tanti anni, però, di recente, Emily Oster, una studentessa di Ph.D. di Harvard, ha proposto una semplice spiegazione del mistero delle donne mancanti di Sen, portando all’attenzione di tutti due aspetti ignorati in precedenza dal dibattito sull’argomento. Primo, le donne asiatiche si ammalano più frequentemente di epatite B rispetto alle donne di altri paesi. Secondo, le portatrici di epatite B hanno una probabilità molto più elevata delle altre di dare alla luce un figlio maschio. Se si mettono insieme questi elementi, si ottiene una potenziale soluzione del mistero: un’elevata proporzione del numero di “donne mancanti” in Asia può essere attribuita all’epatite B. I risultati della Oster mettono insomma in luce che , al contrario di quanto affermato da Sen, la soluzione del mistero delle donne scomparse ha anche (in alcuni paesi, prevalentemente) una natura biologica.

Ci sono tante ragioni per cui le donne di tutto il mondo possono oggi solo festeggiare a metà. Ma la “scomparsa” di milioni di donne in Asia è solo parzialmente dovuta alla discriminazione sessuale. Solo una più attenta valutazione dei fenomeni biologici nella spiegazione dei fenomeni sociali può migliorare le previsioni degli scienziati sociali.

 

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