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Fondazioni tartassate

La manovra correttiva appena approvata cancella la riduzione del 50 per cento dell’aliquota fiscale finora prevista per le fondazioni bancarie perché enti non a fini di lucro. I benefici per il bilancio dello Stato saranno relativamente modesti e soggetti a un probabile contenzioso. Possono essere consistenti invece gli effetti sulle risorse disponibili per servizi e interventi vari garantiti dal settore privato non profit. Non sarebbe meglio incentivare, anziché comprimere, il ruolo delle fondazioni nel traballante welfare mix italiano?

È stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il decreto legge che contiene la manovra correttiva di finanza pubblica. (1) Su queste pagine si è già ampiamente discusso del fatto che si tratta di una manovra fondata prevalentemente sulle una tantum sul piano dei tagli alle spese (vedi “Una manovra omeopatica“). Non va però sottovalutato l’impatto, alla lunga di tipo strutturale, dello stillicidio annuale di misure provvisorie di contenimento della spesa – spesso ex post o comunque ad anno inoltrato – con i suoi effetti sui bilanci delle varie amministrazioni, che non hanno così un quadro di riferimento certo. È chiaro che questo riduce le risorse disponibili per le varie politiche, specie a livello locale, e di fatto le risorse disponibili per servizi ai cittadini. Non è altrettanto certo che ciò porti a comportamenti virtuosi, a chiarezza nella identificazione delle priorità e a programmazioni sensate e non giorno per giorno. Al contrario, può provocare una corsa a spendere il più possibile nei primi mesi dell’anno, perché non si sa quello che avverrà dopo, e a competizioni poco virtuose su chi – settore, assessorato, ripartizione – riesce a spendere prima, lasciando eventualmente gli altri all’asciutto.

Gli effetti sul welfare mix

In ogni caso, le uniche misure di carattere esplicitamente strutturale della manovra riguardano le entrate. Tra queste, va segnalata l’eliminazione della riduzione del 50 per cento dell’aliquota di cui dal 1999 godevano le fondazioni bancarie in analogia a tutti gli enti non a fini di lucro: l’aliquota è stata portata ora, per le sole fondazioni, dal 16,5 per cento al 33 per cento. Gli effetti sul bilancio dello Stato saranno relativamente modesti, se si considera che l’insieme delle misure sulle entrate ammonta solo al 12 per cento del valore dell’intera manovra, secondo i calcoli dell’articolo citato. Ma gli effetti sul piano dell’operare delle fondazioni bancarie e soprattutto delle risorse disponibili per servizi e interventi di vario tipo possono essere consistenti, sommandosi a quelli derivanti dalla riduzione delle risorse pubbliche. Da una parte, infatti, lo Stato riduce le risorse di fonte pubblica, demandando l’integrazione di ciò che manca non solo ai singoli cittadini e alle famiglie, ma anche alla società civile. Dall’altro lato, riduce anche le sempre più necessarie risorse non pubbliche del welfare mix, pure auspicato. Si pensi solo al ruolo che le fondazioni bancarie hanno nel settore dei beni culturali e artistici, della ricerca scientifica, della assistenza – per parlare dei tre settori di maggior peso nella collaborazione con il settore pubblico, oltre che di intervento autonomo (2) .Anche se il governo mantenesse la promessa di ridurre le tasse ai cittadini – cosa di cui molti dubitano e altri contestano l’opportunità negli attuali frangenti -, questi si troverebbero a dover pagare molto di più per beni e servizi, proprio per la riduzione delle risorse operata sul fronte pubblico e su quello del privato non profit, di cui le fondazioni bancarie sono una parte consistente specie dal punto di vista finanziario. È altamente probabile che i medesimi cittadini si troveranno anche a pagare di più i servizi bancari e assicurativi, come effetto della maggiorazione delle imposte a carico di questi istituti prevista dalla manovra.

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Normativa senza pace

Ma c’è un altro aspetto della vicenda su cui varrebbe la pena di riflettere: la normativa sulle fondazioni bancarie continua a essere senza pace, rimessa in discussione pressoché ogni anno. Ciò introduce elementi non positivi di instabilità nell’operare delle fondazioni stesse. Ne lede anche l’autonomia statutaria e introduce confusioni sul loro statuto giuridico. Da un lato, infatti, le fondazioni bancarie sono riconosciute come enti privati non profit; e i loro settori di intervento sono regolati in modo fin troppo rigido e dettagliato. Questa caratteristica è anche riconosciuta e ribadita allorché si tratta di individuare la tipologia dei loro redditi (a differenza di quanto accade per le imprese commerciali, il loro reddito non è automaticamente assimilato a reddito di impresa). Dall’altro lato, esse vengono distinte dagli enti non profit rispetto al calcolo della aliquota, senza chiara giustificazione. Ciò per altro rischia di re-innescare un contenzioso che sembrava concluso. Già prima della norma del 1999 che aveva equiparato le fondazioni bancarie agli altri enti non profit dal punto di vista del trattamento fiscale (Dlgs n. 153/99, art. 12, 2° comma), le fondazioni bancarie avevano fatto ricorso in giudizio, vincendo in Cassazione la causa relativa al 1997, mentre sono ancora pendenti i giudizi per i ricorsi relativi ai due anni successivi. In altri termini, già una volta la Cassazione ha dato ragione alle fondazioni sul fatto che, se sono considerate enti non profit operanti nel settore della cultura, ricerca e assistenza hanno diritto alla aliquota ridotta. Ed è altamente probabile che questo stesso giudizio venga confermato anche per gli altri due ricorsi. Il decreto legislativo ora approvato non cancella – né potrebbe – la definizione di enti non profit, ma cancella appunto il beneficio fiscale che ne deriva. È dubbio che le fondazioni, forti delle sentenze loro favorevoli già pronunciate, accettino senza reagire questo ritorno indietro.

(1) Il decreto legge n. 168 del 12 luglio 2004 è stato pubblicato sul Supplemento ordinario n. 122 della Gu n. 161 del 12 luglio 2004

(2) Secondo l’ultimo rapporto disponibile sulle Fondazioni Bancarie , nel 2002 le Fondazioni hanno effettuato interventi per un valore di 949,3 milioni di euro. A questi si aggiungono 94,5 milioni di euro destinati ai fondi speciali per il volontariato, per un totale di 1.043,8 milioni di euro. I tre settori che hanno visto un maggiore impegno sono l’Istruzione, in particolare universitaria e post universitaria (42,4% delle risorse totali), le Attività culturali e artistiche (28,9% del totale), l’Assistenza sociale (12,5% del totale), con particolare riguardo ai servizi sociali. Un quarto settore di intervento consistente è quello della Filantropia e volontariato (fondi speciali per il volontariato, erogazioni ad associazioni di volontariato), cui nel 2002 è stato dedicato il 12% delle risorse. Sanità e ricerca hanno ricevuto rispettivamente il 10,4% e l’8,9% delle risorse. Infine, il 6,7% delle risorse è stato destinato alla Promozione delle comunità locali: sostegno all’imprenditoria, al miglioramento delle infrastrutture, ecc. Quanto ai beneficiari degli interventi, sono stati soggetti privati (per lo più di tipo istituzionale o comunque non individuale) nel 57,4% dei casi, soggetti pubblici, in prevalenza enti locali, nel 42,6% dei casi. Gli enti locali sono al primo posto in assoluto
tra i beneficiari pubblici e privati. Uno sguardo ai bilanci del 2003 e a quelli di previsione del 2004 delle principali Fondazioni suggerisce che le cose non sono sostanzialmente cambiate.

Si rimanda al sito dell’ACRI per ulteriori informazioni.

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  1. Fabio Pietribiasi

    La manovra finanziaria di Luglio ha colpito anche le Fondazioni bancarie con effetti depressivi sul welfare, che vanno ad aggiungersi a quelli derivanti dal taglio di spesa direttamente imposto agli Enti locali. Mi pare se ne possa trarre una lezione: le Fondazioni sono viste come parte integrante dei poteri locali e la Costituzione materiale va letta ormai in questo modo. Essere bersagliati dalla stessa norma che cerca di rabberciare le disastrate finanze statali non è certamente un motivo di conforto, ma può essere lo spunto per razionalizzare le risorse locali e intensificare il dialogo fra Enti che continuano ad avere capacità di intervento in qualche caso anche notevoli.
    Concordo con l’articolo, quando lamenta la persistente instabilità della normativa, adesso ancora più accentuata. Aggiungerei che la normativa è strutturalmente insoddisfacente perché non prevede alcun raccordo istituzionale fra Fondazioni ed Enti locali, dopo che la Corte costituzionale con le sentenze del settembre 2003 le ha qualificate istituzioni di diritto privato soggette solo alla normativa statale e ha riconosciuto l’opportunità di una rappresentanza dei poteri locali negli organi di indirizzo solo con una formula blanda e generica. Se le Fondazioni sono attori importanti del nuovo welfare di comunità che si sta delineando in alcune esperienze, se lo Stato non sembra più in grado di far niente in tale campo e sarà già un risultato se non farà passi indietro, mi sembra ci sia spazio per sollevare la questione del loro coordinamento programmatico con l’attività di Comuni, Province e Regioni, integrando la normativa attuale. Potrebbero farlo gli attesi Statuti regionali? Forse corro troppo, ma mi piacerebbe sentire qualche opinione al riguardo.

    • La redazione

      Sono d’accordo sulla opportunità di un coordinamento tra attività delle Fondazioni e attività degli enti locali, per altro previsto anche nella legge 328/2000 per quanto riguarda le politiche sociali, ma non sulla opportunità di una presenza più forte degli enti locali negli organi delle Fondazioni. Come ho avuto modo di scrivere proprio su queste pagine all’epoca della proposta Tremonti (cfr. La riforma delle Fondazioni: rischi di liberismo statalista?), si rischierebbe di trasformare le Fondazioni in una sorta di cassa degli enti locali (e di terreno di conquista delle diverse forze politiche), comprimendo il loro ruolo di attori della società civile.
      Cordialmente, Chiara Saraceno

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