Una trasformazione incisiva del bicameralismo perfetto, coerente con l’impianto del Titolo V, è ormai indispensabile. E’ necessario creare un Senato che sia elemento di garanzia ed equilibrio nelle relazioni tra centro e periferia. Se per le resistenze dei senatori in carica non si riuscirà a farlo, il processo legislativo italiano è destinato a una nuova anomalia. La funzione raccordo e concertazione tra governo centrale e Regioni sarà svolta in altre sedi e avremo così un sistema tricamerale.

Se visti nell’ottica della analisi comparata delle istituzioni politiche, gli obiettivi di una revisione del “bicameralismo perfetto” emergono nitidamente: a) rendere più lineare il continuum governo-Parlamento, attribuendo alla sola Camera dei deputati il potere di conferire e ritirare la fiducia, e meno farraginoso il processo legislativo, per adeguarsi al modello maggioritario sul versante delle relazioni governo-partiti; b) costituire una sede di rappresentanza delle autonomie territoriali che possa fungere da elemento di garanzia ed equilibrio nelle relazioni tra governo centrale e istituzioni sub-statali di governo, per adeguarsi al modello federale sul versante delle relazioni centro-periferia.

Perché abbandonare il bicameralismo perfetto

L’esigenza di un Senato capace di svolgere la seconda funzione assicurando al contempo la prima, è già stata ripetutamente sottolineata evocata in passato, ma è divenuta ancora più urgente con la dalla riforma del Titolo V approvata dal centro-sinistra.
Quella riforma muoveva dall’intenzione generalmente condivisa di rafforzare le Regioni, restringendo l’area di competenza esclusiva dello Stato.

Preso atto dell’impossibilità di trasformare, a fine legislatura, composizione e funzioni del Senato, ha preteso però di risolvere tutto con la ripartizione ex ante, per materie, delle competenze legislative del Parlamento nazionale e delle Regioni. Ma le dighe erette per prestabilire le rispettive prerogative, fanno inevitabilmente acqua da tutte le parti. Né si possono eliminare le competenze concorrenti, che sono il cuore degli Stati federali contemporanei, per rendere la divisione del lavoro più nitida.
Naturalmente, l’alternativa consiste nel creare un Senato rappresentativo degli interessi regionali, che possa intervenire nella puntuale disciplina dei confini, inevitabilmente mobili, tra governo centrale e sistemi regionali.

Dopo aver rimodulato la composizione del Senato, potrebbero essere affrontati alcuni dei principali problemi posti dalle inevitabili ambiguità del nuovo Titolo V.
A un “Senato delle Regioni” potrebbe essere innanzitutto attribuito il potere di eleggere una quota dei componenti della Corte costituzionale, a garanzia della equidistanza della Consulta tra il legislatore nazionale e quelli regionali. Esso potrebbe vagliare gli interventi legislativi che dovessero limitare le prerogative delle Regioni in nome dell’interesse nazionale e stabilire i “principi fondamentali” nelle materie a competenza legislativa concorrente.

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Il Senato sarebbe anche la sede naturalmente votata a disciplinare le modalità per l’attivazione delle competenze legislative esclusive in materia di sanità, scuola e polizia locale: qualsiasi cosa effettivamente implichino, difficilmente il governo potrà ormai rinunciarvi.

Come raggiungere gli obiettivi

Per ottenere questi obiettivi, deve però essere chiaro ciò che si chiede specificamente ai componenti della seconda Camera: non tanto di difendere gli interessi dei territori (e certamente non di intromettersi nei rapporti tra maggioranza e opposizione), quanto di tutelare l’autonomia delle unità politiche territoriali e delle istituzioni che la rendono possibile. E l’intensità con la quale i senatori faranno proprio questo punto di vista, dipende in larga misura dal modo in cui saranno eletti, dai “principali” di cui saranno “agenti” e a cui dovranno dar conto, oltre che dai poteri che potranno esercitare mentre sono in carica.

Se continueranno a essere eletti lungo linee di partito e se le loro competenze non saranno chiaramente focalizzate sulle relazioni centro-periferia, non si vede perché i loro comportamenti (e quindi una funzione rappresentativa) dovrebbero essere dissimili da quelli che caratterizzano i senatori oggi.
L’analisi comparata mostra che se si vuole una Camera di raccordo tra centro e periferia, il modello più efficace è il Bundesrat tedesco.

Nel caso della transizione italiana questa strada è tuttavia impraticabile per tre ragioni: il prestigio degli amministratori locali e la capacità di pressione delle loro associazioni; le preoccupazioni del ceto politico nazionale e locale, oltre che dei consiglieri regionali, per i crescenti poteri che si vanno concentrando nelle mani dei presidenti di Regione; l’aperta resistenza dei senatori in carica verso qualsiasi progetto che azzeri le loro possibilità di rielezione.

Anomalie possibili

La proposta della maggioranza aggira questi vincoli politici, collegando l’elezione diretta dei senatori a quella degli organi regionali. Può essere un buon compromesso, ma ad alcune condizioni.
Innanzitutto, non deve essere approvata la cosiddetta contestualità “affievolita”, prevista dal testo licenziato dal Senato, che snaturerebbe in radice la ratio della proposta.
L’unico obiettivo che si intravede dietro questa ipotesi è quello di non ridurre il mandato dei senatori, al prezzo di piegare a tale scopo il funzionamento delle istituzioni regionali.

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La contestualità va semmai rafforzata con un qualche meccanismo che renda effettivo il collegamento tra l’elezione delle maggioranze di governo al livello regionale e la scelta dei senatori.
La seconda condizione è che l’attività dei senatori sia effettivamente focalizzata sulle sole materie attinenti all’equilibrio centro-periferia, sia per incentivare la loro specializzazione sia per evitare interferenze con il legame fiduciario tra la Camera dei deputati e il governo. (1)

Una trasformazione incisiva del bicameralismo, coerente con l’impianto del Titolo V, è necessaria, altrimenti il processo legislativo italiano è destinato ad andare dritto verso una nuova, eccentrica e disfunzionale anomalia.
Se il Senato non diverrà un luogo effettivo di raccordo e concertazione tra governo centrale e Regioni, questa funzione sarà svolta in altre sedi: le Conferenze Stato-Regioni e Unificata, in primo luogo, di cui non a caso gli amministratori regionali e locali chiedono la costituzionalizzazione.
Pur di garantire una occupazione ai senatori, saremo così passati dall’anomalia del bicameralismo perfetto a un sistema tricamerale.

 

(1) I componenti della seconda Camera dovrebbero essere dunque chiamati a esprimersi esclusivamente su a) definizione dei “principi fondamentali” negli ambiti a legislazione concorrente (attualmente enumerati al terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione); b) autonomia finanziaria degli enti territoriali e meccanismi di perequazione; c) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale; d) ordinamento e funzioni fondamentali degli enti locali; e) eventuali limitazioni alla autonomia legislativa regionale in nome dell’interesse nazionale; f) revisione costituzionale.

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