Il ministro Moratti cita in televisione ricerche internazionali per giustificare la riforma della scuola di base. Ma i risultati dei due studi comparativi sembrano invece mostrare che l’istruzione elementare in Italia ha funzionato e bene. I problemi nascono, semmai, alle medie, anche se il sistema italiano produce comunque risultati piu’ omogenei rispetto alla media dei paesi Ocse. L’attenzione riformatrice avrebbe dovuto percio’ concentrarsi maggiormente sulla scuola media di primo grado. Mentre il ministero ha preferito partire dal basso.

Nel corso di alcune trasmissioni radiotelevisive, tra le quali “Porta a porta” e “Ballarò”, il ministro Letizia Moratti ha fatto riferimento ai risultati di alcune indagini sulle prestazioni scolastiche degli studenti italiani per giustificare la necessità di riformare la nostra scuola di base. Purtroppo, il ministro non ha citato la fonte preferendo ricorrere alla formula, tanto generica quanto comoda, “recenti studi hanno dimostrato che…”.

Un principio condivisibile

Poiché non abbiamo nulla da eccepire sul principio di far scaturire le scelte di politica educativa dalla riflessione sui risultati delle indagini valutative, vogliamo approfondire la questione cercando di dare una risposta ad alcune domande: a) a quali studi si riferisce il ministro? b) che cosa dicono esattamente i risultati di tali studi? c) esistono altre indagini che forniscono dati utili alla riflessione sull’argomento?
Le indagini internazionali che si rivolgono a una popolazione di allievi con un’età corrispondente alla nostra scuola di base (elementare o media) o immediatamente successiva alla conclusione di questo ciclo di istruzione sono Iea Pirls (International Association for the Evaluation of Educational Achievement, Progress in International Reading Literacy Study, 2001, risultati diffusi nel 2003) e Ocse Pisa (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, Programme for International Student Assessment, 2000, risultati diffusi nel 2001).

La prima si è basata su una popolazione di nove-dieci anni, la seconda su una popolazione di quindicenni.

Cosa dice la ricerca Pisa

Nella graduatoria della ricerca Pisa, che ha coinvolto trenta paesi, l’Italia occupa la ventesima posizione. Dunque, quando il ministro ha accennato a risultati deludenti intendeva riferirsi all’indagine Ocse. Considerato il disinteresse che le autorità italiane hanno riservato a questa ricerca quando l’Ocse ne ha diffuso i risultati (4 dicembre 2001), è un fatto positivo che finalmente, anche se indirettamente, se ne cominci a parlare a livello istituzionale.
L’indagine Pisa aveva come obiettivo principale (1) la valutazione della competenza funzionale nella comprensione della lettura tra i quindicenni (250mila soggetti coinvolti).
Le cinque scale di competenza funzionale di lettura sono state costruite sulla base di tre processi: individuare informazioni, interpretare il testo, riflettere sul testo e valutarlo.

Nonostante il non brillante ventesimo posto dei quindicenni italiani (media paesi Ocse 500, Italia 487), la lettura dei dati consente di evidenziare alcuni aspetti interessanti dal punto di vista delle politiche educative. Gli studenti quindicenni italiani sono quasi totalmente scolarizzati (98,36 per cento). La deviazione standard relativa ai punteggi italiani è pari a 91 (Ocse 100), il che significa che i punteggi dei quindicenni italiani, se confrontati con quelli dei colleghi degli altri paesi, sono più vicini alla media.
In altre parole, le distanze tra gli allievi più bravi e quelli meno bravi in Italia sono più contenute rispetto a quanto accade in paesi che in graduatoria occupano una posizione migliore della nostra (ben quindici dei diciannove paesi che ci precedono hanno una dispersione maggiore della nostra).
Se si scompongono le variazioni delle prestazioni degli allievi in differenze tra le scuole e differenze all’interno delle scuole si ottiene un altro dato interessante. Per l’Italia i valori sono: 50,9 per la variazione tra le scuole e 43,4 per la variazione all’interno delle scuole, totale 94,3. Per comprendere il dato, si tenga presente che le cifre evidenziano una situazione critica rispetto alla media dei paesi Ocse quando il totale delle due variazioni è superiore a 100.

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Il sistema dell’istruzione italiano, quindi, produce risultati più omogenei rispetto alla media dei paesi Ocse e pertanto può essere considerato, dal punto di vista sociale, più equo di altri.
Tuttavia, il ventesimo posto indica la necessità di innalzare il livello medio delle prestazioni, in particolare migliorando i livelli di prestazione delle fasce alte (eccellenza). I dati mostrano come in Italia solo il 5,3 per cento degli studenti raggiunga il livello di profitto più alto nella scala di competenze funzionali di lettura (livello 5), contro il 9,4 per cento dei paesi Ocse.

Il problema consiste dunque nel mettere a punto azioni che consentano di aumentare la percentuale degli studenti con risultati eccellenti, senza diminuire l’omogeneità complessiva dei risultati.

E i risultati di Pirls

I risultati della ricerca Iea Pirls (2001) si riferiscono invece a una popolazione con un’età compresa tra i nove e i dieci anni (quarto anno della scuola elementare italiana). Trentacinque i paesi europei ed extraeuropei (in Italia è stata realizzata dall’Invalsi) che vi hanno partecipato.
Le competenze valutate sono ancora una volta di tipo linguistico, per la precisione quelle relative alle strategie e ai processi di lettura (testo narrativo e testo informativo).
I rendimenti degli allievi italiani, decimi in graduatoria, sono significativamente al di sopra della media internazionale. Infatti, l’Italia ha un punteggio medio pari a 541, contro una media internazionale pari a 500. Se si disaggrega il dato relativo al testo narrativo da quello relativo al testo informativo, i valori sono rispettivamente 543 e 537.

Anche in questo caso è elevato livello di omogeneità dei risultati: l’Italia è il paese che in assoluto presenta la differenza più bassa di prestazione tra maschi e femmine. Non solo, a parità di anni di scolarità, i bambini italiani hanno un’età media nettamente inferiore rispetto a quella dei bambini degli altri paesi. Gli scolari italiani, inoltre, sono in testa alla graduatoria internazionale per un alto indice di stima di sé come buoni lettori. Infine, l’indice di atteggiamento verso la lettura dei bambini italiani è al di sopra della media internazionale.

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Ammesso che sia legittimo ricavare indicazioni generali dai dati di una singola indagine (ma questo vale anche per l’indagine Pisa), si potrebbe dire che la scuola elementare italiana ha funzionato e anche bene, come del resto è noto da tempo. (2)

Squadra che vince si cambia. Perché?

Le due indagini comparative autorizzano alcune domande. Se i risultati sono così positivi per i nove-decenni e piuttosto deludenti per i quindicenni, che cosa accade nel segmento di istruzione che va da un’età all’altra? Di conseguenza, quale grado dell’istruzione merita una maggiore attenzione riformatrice, quello che corrisponde alla scuola elementare o quello che corrisponde alla scuola media di primo grado? Se si vogliono utilizzare i risultati della ricerca per orientare le politiche educative, perché gli interventi normativi dell’ultimo anno (legge 53/2003, decreto legislativo 59/2004) investono la scuola elementare non meno che la scuola media?

Sembra che per la scuola italiana non valga il detto “squadra che vince non si cambia”.

Gli interventi di riforma vanno infatti a toccare in modo sensibile proprio i due gradi dell’istruzione nei quali il nostro paese ha sempre retto con onore il confronto internazionale: la scuola dell’infanzia e la scuola elementare. Perché?

Per saperne di più

Emma Nardi, Come leggono i quindicenni. Riflessioni sulla ricerca Ocse-Pisa, Milano, Franco Angeli, 2002.
Maria Teresa Siniscalco, La valutazione della competenza di lettura dei quindicenni italiani nell’indagine internazionale Ocse-Pisa, in N. Bottani e A. Cenerini, Una pagella per la scuola, Trento, Erikson in collaborazione con Adi, 2003. Nello stesso volume compare un contributo di Gabriella Pavan De Gregorio sullo studio Iea Pirls.
Associazione TreeLLLe, Moratti-Morris. Due ministri commentano la presentazione dell’indagine Pisa-Ocse, I Seminari, Genova, 2003. (Il fascicolo è aperto da una presentazione dei risultati Pisa di A. Schleicher, responsabile Dipartimento di statistica dell’Ocse).

www.pisa.oecd.org/knowledge/summary/intro.htm
www.invalsi.it/ricerche-internazionali/index.htm
http://isc.bc.edu/pirls2001.html

www.invalsi.it/ricerche-internazionali/iea-icona/
www.istruzione.it/riforma/index.shtml

(1) Nelle prove di Pisa 2000 erano presenti, ma in misura minore, quesiti di matematica e di scienze. Nelle edizioni 2003 e 2006 l’indagine Pisa è centrata, rispettivamente, sulla matematica e sulle scienze.

(2) I risultati di Pirls 2001 confermano i dati di un’analoga indagine del 1991. Vedi M. O. Martin, I. V. S. Mullis, E. J. Gonzales, A. M. Kennedy, Trends in Children’s Reading Literacy Achievement 1991-2001, Iea, Boston College, 2003.

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