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Il conflitto che non c’è

Alla richiesta di dati disaggregati per studiare i meccanismi di inserimento professionale dei neolaureati, e in particolare il ricorso a canali informali, l’Istat oppone un diniego in nome della tutela della privacy. Si nega così l’accesso a informazioni essenziali per il ricercatore anche quando la riservatezza non è in pericolo perché è particolarmente difficile risalire alle persone fisiche. Fra Istituto di statistica e università dovrebbe invece svilupparsi un rapporto più aperto e trasparente. Ne guadagnerebbero la ricerca e la qualità delle indagini statistiche.

Il conflitto che non c’è

Se volessimo analizzare il mercato del lavoro dei laureati applicando un po’ ingenuamente la teoria della domanda e dell’offerta e l’analisi costo opportunità, il caso italiano ci metterebbe di fronte a diverse contraddizioni.

I pochissimi laureati (l’offerta potenziale) dovrebbero trovare lavoro molto rapidamente o guadagnare salari relativamente alti rispetto ai più numerosi colleghi di altri paesi industrializzati (supponendo che la domanda di laureati sia approssimativamente la stessa).

Inoltre, dato il livello relativamente basso delle tasse universitarie, sarebbe ragionevole aspettarsi molti laureati e una elevata mobilità intergenerazionale. Anche con un mercato dei capitali imperfetto, infatti, le condizioni di partenza (per esempio il reddito dei genitori) non dovrebbero influenzare troppo la probabilità che ciascuno riesca a laurearsi.

I dati a disposizione dipingono, invece, un quadro completamente capovolto. Chi si laurea aspetta molto tempo prima di trovare un impiego, non guadagna un salario particolarmente elevato, fa parte di quel misero 10 per cento della popolazione (di età compresa fra i 25-64 anni di età) che ha ottenuto il titolo, e ha molto probabilmente genitori con un elevato livello di istruzione. (1)

Un mercato particolare

Il mercato del lavoro (lo riconoscono persino gli economisti) è però un mercato piuttosto particolare.

La storia, le caratteristiche del sistema scolastico e le idiosincrasie di un paese di recente industrializzazione non possono essere trascurate. Inoltre, una struttura industriale sbilanciata sui settori tradizionali, rendendo la domanda di lavoro qualificato più bassa rispetto ad altri paesi, spiega parte delle contraddizioni.

Al tempo stesso, però, le modalità con cui gli individui e le imprese si incontrano nel mercato possono aiutare a comprendere e riformare alcune patologie del sistema: attraverso quali canali circola l’informazione sulle opportunità di lavoro? Quali sono gli incentivi a studiare e laurearsi per chi non ha l’aggancio giusto (se questo è l’unico modo per non rimanere disoccupati)? Le imprese che assumono possono fare affidamento sui risultati universitari per valutare un potenziale candidato? E ancora, perché, in Italia non esistono istituzioni che migliorino l’incontro fra domanda e offerta?

L’indagine sull’inserimento professionale dei laureati

I dati che riguardano i processi di transizione dall’università al lavoro sono essenziali per rispondere a tali interrogativi. L’Istat svolge ogni tre anni un'”Indagine sull’inserimento professionale dei laureati”, che, oltre a raccogliere dati su curricula scolastici e universitari e condizioni lavorative di un campione di individui a tre anni dell’ottenimento della laurea, offre utili informazioni sui metodi da loro utilizzati per trovare lavoro.

Il metodo basato su segnalazioni fornite da parenti, amici o conoscenti al proprio datore di lavoro solleva interessanti interrogativi. In particolare, è importante distinguere fra la classica raccomandazione familiare e la segnalazione disinteressata di un collega e il questionario dell’Indagine, con qualche accorgimento, lo consente.

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Quali sono le caratteristiche degli individui che utilizzano i diversi legami informali? Qual è il loro impatto su occupazione e salari?

I dati mancanti

Per fornire risposte accurate è importante avere informazioni precise su salari e residenza geografica degli intervistati.

Purtroppo, nei dati diffusi, i primi sono aggregati in macro-classi (compaiono quattro numeri che indicano ampi intervalli salariali), mentre le informazioni sulla residenza segnalano soltanto macro-regioni (se un laureato risiede a Bari è possibile sapere che vive in Puglia, Basilicata o Calabria).

Tralasciando inutili tecnicismi, risulta evidente come le aggregazioni costituiscano un ostacolo alla misurazione accurata dei fenomeni rilevanti.

Quando, rivolgendomi all’ufficio Istat responsabile, ho provato a chiedere i dati mancanti, disponibili ma non divulgati, la risposta è stata: non possiamo per motivi di privacy.

Considerando le caratteristiche del campione (17.326 anonimi rispondenti su una popolazione di 105.097 individui), credo che né il salario puntuale né la provenienza geografica provinciale avrebbero consentito di collegare i dati alle persone fisiche che hanno partecipato all’indagine.

La riservatezza, in questo caso, non sembra in pericolo e a mio avviso non giustifica la mancata diffusione.

Qualunque sia la ragione di tale scelta, credo si possa fare uno sforzo ulteriore per permettere l’utilizzo a fini di ricerca delle informazioni disponibili.

I recenti segnali di apertura, anche grazie al classico sasso nello stagno lanciato da Andrea Ichino e da lavoce.info, costituiscono un utile passo avanti per un rapporto più aperto e trasparente fra l’Istituto nazionale di statistica e i ricercatori delle università. Ci guadagnerebbero sia la ricerca che la qualità delle indagini statistiche.

(1) Per un quadro dettagliato si veda Checchi, D. 2003 “The Italian Educational System: family background and social stratification.” (http://www.economia.unimi.it/checchi/Pdf/un15.pdf) o per una sintesi in italiano (http://www.economia.unimi.it/checchi/pdf/un15ita.pdf

(2) In questo caso il “colpevole” indicato dall’Istat non è la legge 675/1996 citata da Andrea Ichino, ma il decreto legislativo n. 322 del 6 settembre 1989.

Scheda comparativa HSB – IDS e IPL

Commento alla notiziaAccesso ai dati elementari Istat

In merito al dibattito sull’accessibilità all’informazione statistica sviluppatosi sul sito Lavoce, riteniamo utile fornire chiarimenti su alcuni aspetti fondamentali della nostra politica di diffusione dei dati.
L’Istituto nazionale di statistica, in quanto produttore di statistiche ufficiali, è sottoposto ad una serie di vincoli che derivano essenzialmente dalla normativa per la tutela della privacy e dalla necessità di aderire al Codice di deontologia e di buona condotta per i trattamenti di dati personali a scopi statistici e di ricerca.

Pur in presenza di tali vincoli normativi, da alcuni anni, uno dei principali obiettivi dell’Istat è quello di migliorare la diffusione dei dati prodotti, anche attraverso una politica di apertura nei confronti del mondo della ricerca scientifica che, in primis, manifesta l’esigenza di utilizzare dati elementari.
Attualmente, l’utilizzo di file di dati elementari da parte di utenti che non fanno parte del Sistema Statistico Nazionale è possibile attraverso tre canali:

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1. il cosiddetto file standard (collezione campionaria di dati individuali resi anonimi (1))
2. il laboratorio ADELE (elaborazioni su dati elementari rese disponibili ai ricercatori presso l’Istat (2))
3. i progetti di ricerca congiunti a seguito di sottoscrizione di protocolli di ricerca tra Istat e università ed altre istituzioni con finalità di ricerca (3).

Nel file standard, che è la forma più frequente di diffusione, il rischio di identificazione deve essere contenuto entro un limite accettabile, il che implica una riduzione del contenuto informativo tramite aggregazioni e parziali soppressioni. Le modalità di rilascio dei dati sono comunicate dall’Istat alla Commissione per la Garanzia dell’Informazione Statistica (art.4, comma 3 codice deontologico).

Per quanti abbiano necessità di elaborare i dati elementari senza le limitazioni imposte dal file standard, è disponibile il Laboratorio per l’Analisi dei Dati ELEmentari (ADELE), le cui modalità di accesso sono simili a quelle di analoghi laboratori di altri Istituti nazionali di statistica. A questo proposito è opportuno sottolineare che nelle schede allegate al vostro articolo del 10 febbraio in cui si riportano tali modalità viene attribuito all’Istat “il diritto di decidere quali informazioni siano adeguate alle richieste”. In realtà l’Istat decide preventivamente quali informazioni rendere disponibili presso Adele, indipendentemente dalle richieste degli utenti.
Quanto all’Indagine sull’Inserimento Professionale dei Laureati, riportata nell’articolo citato, si segnala che il file disponibile presso il Laboratorio Adele è completo di tutte le informazioni rilevate (provincia di residenza e reddito inclusi), senza restrizioni né aggregazioni. Come indicato sul sito Istat, l’accesso al Laboratorio Adele è tuttora gratuito, benché siano state fissate preventivamente delle tariffe.

Il terzo canale di diffusione di dati elementari a soggetti non Sistan prevede la definizione di protocolli di ricerca (convenzioni o fellowship) nell’ambito di progetti che siano finalizzati anche al perseguimento di compiti istituzionali del soggetto produttore dei dati. Le altre condizioni essenziali per attivare questo canale sono inserite nel già ricordato Codice deontologico.
In conclusione, invitiamo i ricercatori ad utilizzare più largamente gli strumenti messi a disposizione dall’Istat. Eventuali suggerimenti per il miglioramento della diffusione sono benvenuti, a condizione che tengano conto sia delle effettive possibilità già disponibili, sia dell’attuale normativa che, come Istituto nazionale di statistica, non possiamo né dobbiamo tralasciare.

 

Vittoria Buratta, Direttore Centrale per le metodologie statistiche e le tecnologie informatiche dell’Istat

 

(1) Art.10, comma 2 d.lgs. n.322/89 e art.7, comma 1 del codice deontologico
(2) Art.7, comma 2 del codice deontologico
(3) Art.7, comma 2 del codice deontologico

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  1. Antonio Scialà

    Se vogliamo utilizzare uno schema di domanda e offerta per analizzare il mercato del lavoro italiano dei laureati penso che il mercato del lavoro altamente qualificato in Italia sconti gravi deficienze dal lato della domanda, a causa soprattutto della nostra struttura industriale nella quale è sostanzialmente assente la grande industria. Poi c’è l’assenza di una cultura dell’investimento in ricerca e sviluppo.
    Per quanto riguarda la rilevanza dei legami informali ti segnalo un, a mio avviso ottimo, lavoro di Michele Pellizzari dal titolo “Do Friends and Relatives Really Help in Getting a Good Job?”.
    Vorrei chiederti un esempio di “istituzione che favorisca l’incontro tra domanda e offerta” cui pensi nel mercato delle alte qualifiche.

    • La redazione

      Gentile Antonio Scialà,

      sono d’accordo con lei: la domanda di lavoro spiega buona
      parte delle anomalie e credo, nel mio breve intervento, di
      averlo sottolineato.

      Conosco l’articolo di Pellizzari e i suoi risultati
      (l’impatto dell’uso dei legami informali sul salario varia
      da paese a paese) sono consistenti con i miei: io provo a
      spiegare le differenze distinguendo fra diversi legami,
      Pellizzari si concentra sulla domanda di lavoro. Se le
      interessa trova una versione preliminare del mio paper sul
      mio sito personale.

      Le istituzioni alle quali penso sono prima di tutto gli
      uffici di job-placement nelle università. Inoltre credo
      che un sistema di valutazione più ragionevole (oggi circa
      il 25% dei laureati esce con 110) e percorsi educativi più
      differenziati permetterebbero alle imprese di avere più
      informazioni sulla qualità dei curricula. In Giappone per
      esempio vi è un rapporto molto più stretto fra professori
      universitari e imprese. In Francia le Scuole Superiori
      offrono spesso una preparazione diversa da quelle delle
      università. Sono sistemi criticabili, ma a mio avviso più
      ragionevoli. Temo che, in questo senso, la riforma “al
      ribasso” del 3+2 rischia di peggiorare le cose.

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