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Sarà strutturale?

Sembra esserci l’accordo nella maggioranza sulla riforma delle pensioni. Dal 2008 si chiuderà uno dei due canali di accesso alle pensioni di anzianità. Tentiamo una prima valutazione sulla base dei (pochi) dati disponibili. Vi è il rischio di forti fughe verso le anzianità da qui al 2008, che potrebbero compromettere i risparmi successivi. Inoltre, aumenterebbero le disparità di trattamento, accentuando la complessità del sistema.

In un’intervista al Corriere della Sera del 16 settembre, il ministro Giulio Tremonti ha reso pubblici i contenuti dell’accordo maturato nella maggioranza sulla riforma delle pensioni.
La riforma si articolerebbe in due fasi. Da qui al 2008 entrerebbero in vigore le misure previste dalla delega previdenziale, ferma in Parlamento da ormai due anni: lo smobilizzo del Tfr e gli incentivi all’allungamento della vita lavorativa.

“A ridosso del 2008”, invece, verrebbero innalzati i requisiti per l’accesso alle pensioni d’anzianità. Senza la riforma, nel 2008 potranno accedere alle pensioni d’anzianità i lavoratori con 57 anni di età e 35 anni di contributi oppure con 40 anni di contributi. La riforma dovrebbe chiudere il primo canale, lasciando aperto solo il secondo.

Molte domande legittime, pochi dati

Alla luce di queste dichiarazioni, sono legittime alcune domande: quanti saranno i lavoratori coinvolti dalla stretta? Quali gli effetti sui conti previdenziali?

Quesiti importanti non solo per i potenziali interessati, ma anche per giudicare se si tratta di un intervento “strutturale” o meno, da far eventualmente valere dal nostro Governo per ottenere un’interpretazione più accomodante dei vincoli del Patto di stabilità e crescita.
Le cifre che circolano in questi giorni sul numero di lavoratori coinvolti dalla riforma sembrano il risultato di una cabala. Si oscilla dai dieci milioni di lavoratori (quasi tutti i lavoratori dipendenti privati assicurati presso l’Inps) a poche centinaia.
Parte considerevole delle colpe di questa incertezza ricade sulla scelta dell’Inps di non rendere pubbliche le proprie elaborazioni sui dati del casellario (vedi circolare Inps). In questo modo si rendono possibili illazioni di ogni tipo.

Non ci rimane allora che utilizzare i dati dell’Indagine sulle forze di lavoro condotta dall’Istat, assieme all’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane della Banca d’Italia, campioni rappresentativi della realtà italiana.

L’effetto annuncio

L’esperienza ci insegna che l’annuncio di riforme che irrigidiscono l’accesso alle pensioni di anzianità tende a stimolare forti uscite prima che il provvedimento venga attuato
La figura mostra come, ad esempio, il blocco delle pensioni di anzianità nel 1993, 1995 e 1997 fu anticipato da un marcato incremento nei flussi verso il pensionamento, tale da quasi completamente vanificare gli effetti del blocco.


   Fonte: elaborazioni CERP e FRDB su dati dell’archivio lavoratori dipendenti Inps

Il solo parlare di tagli alle anzianità, sembrerebbe aver portato quest’anno a un incremento di quasi il 20 per cento dei flussi verso le anzianità, secondo la ricostruzione offerta a La Repubblica dal sottosegretario Brambilla (la Repubblica 27/8/03). In genere, più rigida la stretta, più forte l’effetto annuncio.
Il Governo sembra intenzionato a contrastare questa fuga con l’arma spuntata degli incentivi (vedi Brugiavini-Peracchi) e con una certificazione dei diritti, che rischia di non risultare credibile agli occhi del cittadino. Non si può perciò escludere che gran parte degli aventi diritto alle pensioni d’anzianità utilizzerà questa prerogativa prima del 2008.

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Quanti sono i lavoratori che potrebbero essere indotti ad anticipare l’andata in pensione dall’annuncio di una riforma nel 2008?

Secondo le nostre stime, sono circa 400mila (di cui 260mila di età compresa tra i 57 anni e i 65 anni) i lavoratori che oggi hanno diritto a una pensione di anzianità e che non ne hanno sin qui fruito (lo stock).
Ogni anno, inoltre, circa 250mila lavoratori maturano i diritti. Fra questi circa il 60 per cento (attorno a 150mila) decide effettivamente di andare in pensione, mentre i rimanenti 100mila continuano a lavorare. Dunque, sono circa 700mila i lavoratori che potrebbero essere indotti a lasciare le forze di lavoro proprio dall’annuncio di un irrigidimento della normativa nel 2008. Stimando che l’effetto di annuncio anticipi mediamente di quattro anni l’andata in pensione (ciò che si ottiene dividendo lo stock con i flussi annuali di aventi diritto e non fruitori delle anzianità), si può stimare che questo si traduca in un aggravio del debito delle casse previdenziali (1) di circa 22 miliardi di euro (in valori del 2003).

Chi non mangia la minestra….

Vediamo, invece, i lavoratori che subirebbero il blocco senza “poter fare nulla”.

Il ministro Tremonti ha lasciato capire che la finestra potrebbe chiudersi nel 2008 con un “salto” che porti tutti i lavoratori a sottostare al vincolo dei 40 anni di contributi indipendentemente dall’età.

Se chi poteva è già fuggito prima, le “vittime” del provvedimento saranno quei lavoratori che, con più di 57 anni (ma meno di 65) nel 2008, raggiungessero a quella data i 35 anni di contributi e coloro che, avendo già raggiunto i 35 anni di contributi, compissero 57 anni nel 2008.
Secondo le nostre stime, si tratta di circa 220 mila lavoratori, di cui il 60 per cento (circa 130 mila) avrebbe fruito della pensione. Questi lavoratori nel 2008 avranno un’anzianità contributiva media di circa 36 anni e 58 anni di età, quindi verranno privati dall’accesso alle anzianità per, mediamente, quattro anni.

Questo effetto si trascinerebbe dal 2008 al 2014, quando le prime generazioni che hanno un trattamento pensionistico ibrido (basato per diciotto anni sul metodo retributivo e per i restanti su quello contributivo), maturerebbero i requisiti per le anzianità. Da allora in poi, non si avrebbero effetti apprezzabili sul debito pensionistico dal rinvio dell’età di pensionamento.

In totale, quindi, sarebbero circa 800mila i lavoratori coinvolti dall’inasprimento delle normative (con punte di circa mezzo milione all’anno), per una riduzione stimata del debito pensionistico di circa 25 miliardi di euro a valori 2003.

Chiaramente se la soglia venisse ridotta, come paventato da diversi esponenti della maggioranza, il numero di persone coinvolte (e le riduzioni di spesa) sarebbero meno consistenti.
Il saldo fra effetto annuncio e risparmi successivi al 2008 potrebbe, dunque, posizionarsi vicino ai tre miliardi di euro, che difficilmente può essere presentato come una riforma strutturale.
Certo, l’effetto annuncio potrebbe non coinvolgere la totalità degli aventi diritto alle pensioni d’anzianità. Ma è anche possibile che lo scalino del 2008 possa essere smussato.
Oppure che la riforma venga posticipata al 2009, come dichiarato in questi giorni dal ministro Umberto Bossi. Quel “a ridosso del 2008” si presta a diverse interpretazioni.

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Il dilemma fra rinvio e gradualità

In sintesi, un muro troppo alto eretto nel 2008 rischia di scatenare una fuga negli anni immediatamente precedenti, tale da compromettere i risparmi conseguibili con l’inasprimento delle condizioni di anzianità.
Un intervento più graduale, che spalmasse su più anni l’innalzamento dei requisiti contributivi minimi, scatenerebbe meno fughe, ma avrebbe anche effetti molto più limitati sulla dinamica della spesa previdenziale perché interverrebbe quando cominciano a realizzarsi i primi effetti della riforma Dini.

Il vero problema è, dunque il rinvio al 2008 della riforma.

Partendo prima, ad esempio nel 2004, si potrebbe intervenire con maggiore gradualità. Il rinvio della riforma al 2008 non ha alcuna giustificazione economica: ogni anno di rinvio ha costi elevati (vedi Boeri e Brugiavini).
La scelta di aspettare il 2008 è giustificabile solo in termini di acquisizione di consenso politico. Forse più nella maggioranza che nel Paese. Non è infatti detto che il posticipo al 2008 riduca l’opposizione alle riforme. Questa sarà particolarmente agguerrita in prossimità del 2008 (ad esempio durante la verifica del 2005 o la campagna elettorale del 2006), il che apre la possibilità di ammorbidimenti successivi (nel qual caso ne subiremmo solo le conseguenze negative, le fughe).

Ragioni di consenso dovrebbero, invece, suggerire una semplice accelerazione della transizione al sistema Dini, su cui vi sono state importanti aperture dell’opposizione e nello stesso sindacato. E sarebbe maggiormente comprensibile all’elettorato, come un intervento che ripristina equità nel sistema.

La “riforma Tremonti”, invece, creerebbe nuove iniquità, concentrando l’aggiustamento su un numero ristretto di generazioni (quelle dal 1953 al 1957) ed eventualmente premiando le generazioni precedenti (con gli incentivi).
Aumenterebbero le disparità di trattamento perché avremmo non più solo due, ma quattro regimi diversi (retributivo “semplice”, retributivo con premio, retributivo con irrigidimento delle anzianità e contributivo). Lavoratori coinvolti in questi quattro regimi oggi si trovano ad operare, fianco a fianco, nella stessa impresa.

E la complessità del sistema non potrebbe che accentuarsi.

 

(1) Il valore presente dei diritti acquisiti da lavoratori e pensionati

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sommario 16 settembre 2003

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  1. Patrizia Fiorucci

    Vi seguo sempre!
    Commenti in merito al vs. ultimo articolo (Boeri/Brugiavini) sulla storia pensioni.
    Continuate a parlare sempre di fuga dal lavoro ecc. e con questo seguite sempre il discorso di STARE o NON-STARE al lavoro. Ma chi non ce l’ha più il lavoro come arriva ai vari prossimi traguardi dei 60-o ddirittura 65 anni?
    Ma perché non citate mai questa questione e parlate sempre di effetto fuga? Parlate anche degli altri che vivono in un limbo inesplorato ed ignorato.
    Grazie.

    • La redazione

      Grazie per l’utile osservazione. Circa un 20% delle pensioni erogate a ex-lavoratori del settore privato sotto i 65 anni sembrerebbe (condizionale d’obbligo data la pacità dei dati) il risultato di esuberi. La maggioranza dei flussi verso le anzianità è il frutto di scelte consensuali di lavoratori e datori di lavoro. La fuga riscontrata anche in passato viene alimentata, comunque, soprattutto dai dipendenti pubblici, che hanno certamente meno problemi di tutela del loro posto di lavoro. Cordiali saluti.

  2. Paolo Rossi

    Più che un commento vorei fare una domanda.
    anche altri paesi europei dell’eurozona come Francia e Germania sono alle prese con la riforma delle pensioni. Pensa che si possa ragionare di un sistema unico europeo ( eurozona) della previdenza ( esempio un sistema unico dei vari inps dei vari paesi cosi come avviene per il sistema delle banche centrali) al fine di coordinare sistemi comuni di previdenza con regole comuni?

    • La redazione

      No. Ne abbiamo già parlato sul sito (veda gli interventi sulla “Maastricht delle pensioni”. E’ un problema che va affrontato paese per paese, anche perchè le condizioni di partenza sono molto diverse da paese a paese.

      Tito Boeri

  3. nicola scalzini

    Più che un commento vorrei segnalare come molte forze politiche (AN,UDC,ma anche molti altri esponenti politici) si propongano di rendere più graduale l’innalzamento del requisito anagrafico, da35 a 40 anni, per il conseguimento del diritto alla pensione. Verrebbe voglia di dire loro che la guerra è finita. Questo innalzamento, da quanto è stato ufficialmente dichiarato non c’è più. Non c’è più la chiusura del canale d’uscita a requisiti congiunti (per intenderci: 57 anni di età e 35 anni di contributi) e quindi resta tutto come prima. Cambia per coloro che si avvalgono di questo canale il metodo di calcolo che seguirà le regole contributive. Una misura che ,a mio parere doveva essere decisa qualche tempo fa e che invece viene dilazionata di altri 4 anni. Essa peraltro accelera, si fa per dire, un pezzo della riforma Dini-Treu, condivisa dalle tre confederazioni sindacali.
    Il tempo della transizione al sistema contributivo è ancora così esasperatamente diluito che parlare di gradualismo lascia a dir poco perplessi. Quanto all’ottimo articolo di Boeri e Brugiavini attendo con interesse un suo aggiornamento alla luce di questa ultime grosse novità. Nicola Scalzini.

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