Il recente regolamento europeo prevede che la gestione degli scambi di energia elettrica sia effettuata attraverso meccanismi di mercato. Una soluzione che non piace ai grandi consumatori italiani perché li priva del sussidio implicito garantito finora dal razionamento delle quantità. Ma per l’Italia potrebbe essere l’occasione per uscire dalla condizione di Paese meno competitivo in Europa in questo settore.

Il progetto di regolamento comunitario sugli scambi internazionali di energia elettrica recentemente approvato ha provocato una decisa ostilità da parte confindustriale e una opposizione tardiva del Governo italiano.

Secondo questo regolamento, la gestione degli scambi internazionali (le “interconnessioni”) dovrà essere effettuata con un meccanismo di mercato – sostanzialmente, delle aste organizzate dai gestori di rete -, che si dovrà quindi sostituire alla soluzione “amministrata” che oggi prevale in Italia. (1)

La capacità di interconnessione: una risorsa scarsa

Fino a oggi, l’utilizzo della capacità di interconnessione tra l’Italia e i Paesi confinanti ha consentito di approvvigionarsi di energia estera a costi più bassi per circa il 15 per cento dei consumi. La capacità è stata distribuita tra gli interessati attraverso un razionamento delle quantità che ciascun operatore poteva acquisire, e il differenziale di prezzo intascato per intero dall’importatore.

Differenziale che è molto elevato: secondo i dati presentati lo scorso dicembre dall’Autorità per l’energia in una audizione davanti a Camera e Senato, nel 2001 è stato pari al 28,7 per cento rispetto alla media europea (2), mentre altre elaborazioni indicano un valore ancora più elevato, il 51,1 per cento.(3) E questo spiega come mai l’Italia sia il Paese europeo con il peso più elevato di importazioni sui consumi finali.

La capacità di interconnessione è dunque una risorsa scarsa: se così non fosse, il prezzo dell’energia prodotta in Italia convergerebbe verso quello medio europeo e al limite in Italia non si produrrebbe energia, ma si vivrebbe di importazioni (magari, con qualche problema per la sicurezza energetica nazionale). Allo stesso modo, se fossimo competitivi nel produrre energia, il valore dell’interconnessione sarebbe molto più basso.

Il prezzo della risorsa scarsa “capacità di interconnessione” dovrebbe essere infatti pari al differenziale di prezzo tra energia prodotta in Italia e resto d’Europa.

È efficiente che questa risorsa scarsa sia attribuita non in base a meccanismi di prezzo?

Lo è solo nel breve periodo, perché consente di tenere basso il costo complessivo dell’energia importata. L’efficienza di lungo periodo richiederebbe invece la costruzione di nuove linee di connessione con l’estero, fino al punto dove il risparmio per la maggiore energia che transita su una nuova linea è pari al suo costo di costruzione. Le risorse per la costruzione di nuove linee dovrebbero essere ricavate proprio facendo pagare la disponibilità dell’interconnessione. E parte del ricavato dalla vendita di questi “diritti di capacità” potrebbe essere reso disponibile per tutti i consumatori.

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Senza contare che con il sussidio, implicito nel mantenere gratuita la capacità d’interconnessione razionando le quantità, si può accontentare un gruppo di interesse forte, ma non si risolve il problema dell’alto costo dell’energia. E non tutte le soluzioni, sono di lungo periodo (si pensi agli interventi sulla tassazione dell’energia e delle fonti primarie).

I precedenti in Italia e in Europa

L’Autorità per l’energia aveva già provato ad introdurre un sistema d’asta per la capacità di interconnessione per il 2001. Il ricorso al Tar dei grandi consumatori aveva avuto esito positivo e il Consiglio di Stato aveva confermato la decisione del Tar con una motivazione che merita di essere studiata come caso di “Law and Economics all’italiana”. Vi si afferma, infatti, che “il sistema dell’asta, ove basato esclusivamente sul corrispettivo offerto (…) non sia funzionale all’obiettivo (…) di consentire l’utilizzo della capacità di interconnessione sulla base dei criteri di parità di condizioni e di pluralismo”.

Con buona pace della parità di condizioni e di pluralismo, l’Autorità – che aveva dovuto adeguare il sistema di assegnazione alle decisioni del Tar e del Consiglio di Stato – ha previsto una riserva di 600 MW per i consumatori che accettino l’interruzione della fornitura di energia, aprendo così la via a un canale privilegiato per alcuni grandi consumatori. Il sistema di allocazione rimaneva sempre quello del pro-quota. Per il 2003, l’Autorità formalmente, e il Governo di fatto, (4) ha ulteriormente ampliato la riserva a 1200 MW (circa il 20 per cento del totale).

Si deve comunque sottolineare che, in generale, il sistema delle aste sull’interconnezzione richiede il monitoraggio da parte del regolatore del comportamento del gestore della rete. Questi potrebbe essere incentivato a dichiarare “in eccesso” l’esistenza di congestioni o a gestire secondo meccanismi non completamente trasparenti “capacità residue”, per acquisire risorse finanziarie.

Il regolamento comunitario

Nella relazione alla proposta di regolamento si legge che “le metodologie specifiche che sono conformi ad una soluzione di mercato e forniscono segnali economici efficienti, sono diverse”.

Inoltre, “l’esame dell’attuale situazione dei mercati europei porta alla conclusione che nell’Europa continentale i metodi più facilmente attuabili – in pratica – sembrano al momento le aste implicite ed esplicite combinate con un ridispacciamento coordinato transfrontaliero”.

La proposta di regolamento sostiene, inoltre, che un modo estremamente efficiente e trasparente di risolvere il problema della scarsità della capacità di interconnessione è il meccanismo che prevede la differenziazione geografica dei prezzi in presenza di congestioni (market splitting) attualmente seguito nei Paesi scandinavi. (5)

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Una liberalizzazione non sostenibile?

Il differenziale di prezzo con l’estero ha diverse cause: mix di combustibili, impianti obsoleti, oneri fiscali, barriere alla costruzione di nuove centrali e di nuove linee. È una storia che racconteremo un’altra volta, se ve ne sarà l’occasione.

Resta il fatto che essere il Paese meno competitivo in Europa nella produzione di energia, oltre a danneggiare i consumatori, ci pone in una situazione di grave difficoltà nell’affrontare la liberalizzazione.

Forse il regolamento può aiutare a far crescere la consapevolezza che concedere un po’ di sussidi impliciti a qualche potente lobby non è propriamente una politica dell’offerta. Oppure, cedendo al pessimismo, farà soltanto aguzzare l’ingegno per trovare nuovi “pannicelli caldi”.

(1) In Europa le aste sulle linee di interconnessione sono già diffuse (tra gli altri sulla linea Francia – Regno Unito e sulla frontiera Germania – Danimarca).

(2) Si veda la memoria presentata per l’audizione del 4 dicembre 2002 davanti alle commissioni Industria del Senato e Attività produttive della Camera nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle recenti dinamiche dei prezzi e delle tariffe e sulla tutela dei consumatori.

(3) Si vedano le elaborazioni contenute nel rapporto Ref. Osservatorio energia 2003. Le differenze rispetto ai dati dell’Autorità sembrano essere riconducibili al fatto che i prezzi dell’energia sono fortemente variabili al variare dei consumi e non vi sono modalità di aggregazione univoche ed accettate internazionalmente.

(4) L’articolo 35 della legge 273/02 ha affidato competenze dirette in materia di importazioni al ministero e accanto al criterio della interrompibilità ha introdotto il criterio della capacità del cliente di utilizzare la capacità assegnata per almeno l’80% delle ore annue. La delibera dell’Autorità ha anticipato per esigenze di tempo i contenuti del provvedimento legislativo.

(5) Il market splitting prevede che quando vi è congestione ai confini si creano due zone virtuali, al di qua e al di la del confine, e la capacità di interconnessione viene allocata di modo da minimizzare la differenza di prezzo.

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