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Piccolo è bello solo se giovane *

I nuovi dati Ocse permettono di confrontare le dinamiche occupazionali aziendali, tenendo conto dell’età delle imprese. In tutti i paesi sono quelle giovani a contribuire di più alla creazione di posti di lavoro. La “questione italiana” rimanda ad aziende piccole e vecchie.

NUOVE IMPRESE E OCCUPAZIONE

Nel corso di una crisi di durata e intensità quale quella attuale, vi è un rinnovato interesse nel comprendere come funzionino oggi i meccanismi della distruzione creatrice teorizzata da Joseph Schumpeter, attraverso i quali nuove imprese, più produttive e innovative, rimpiazzano quelle mature, meno dinamiche e competitive.
Poter distinguere, da un lato, le scelte di assorbimento e dismissione di occupati da parte delle imprese e, dall’altro, i processi di nascita e crescita delle imprese stesse è dunque cruciale per dare fondamenta solide alle politiche per l’occupazione e per la promozione industriale. (1) Proprio con questo obiettivo, l’Ocse ha avviato nel 2012 il progetto DynEmp, che integra e confronta dati d’impresa relativi (finora) a diciassette paesi aderenti all’organizzazione più il Brasile.

L’ETÀ CONTA

La semplice analisi strutturale rivela che in quasi tutti i paesi domina la piccola dimensione, ma l’Italia si segnala per la concentrazione sulla fascia più ridotta: le imprese con meno di dieci addetti sono il 95 per cento e occupano il 46 per cento degli addetti complessivi. (2)
Il peso delle imprese di minore dimensione nel mercato del lavoro può essere tuttavia sintomo di due fenomeni con implicazioni molto differenti: un’ampia presenza di start-up (un accentuato dinamismo nella natalità delle imprese), che tipicamente sono piccole, o un’ampia quota di imprese mature che non sono cresciute.
Per questo, al dato sulla dimensione va associato quello dell’età. Un primo risultato fondamentale del progetto DynEmp è incentrato su questo punto: non sono tutte le piccole imprese le maggiori generatrici di posti di lavoro, ma lepiccole imprese giovani (figura 1); e se si considera anche la natalità, l’apporto maggiore alla creazione di lavoro si deve alle imprese nuove, seguite dalle start-up (imprese attive da meno di tre anni).

Figura 1 – Contributi di imprese giovani e vecchie alla creazione di lavoro

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Fonte: Criscuolo, Gal e Menon, 2014. (3)

Inoltre, l’Italia si segnala per la numerosità di piccole imprese “vecchie” (oltre dieci anni di età; figura 2), e con Finlandia e Giappone condivide il primato della quota più elevata di microimprese “vecchie”.

Figura 2– Composizione per classe di età delle imprese piccole (<50 addetti)

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Fonte: Criscuolo, Gal e Menon, 2014

Questo risultato può derivare da differenze rispetto a tre fattori: a) i tassi di natalità delle imprese; b) la dimensione e la velocità di crescita di quelle nuove; c) i tassi di sopravvivenza delle imprese giovani.
La quota di imprese start-up è da anni in costante diminuzione in tutti i paesi (la crisi ha prodotto solo un’accelerazione nella flessione), ma sono diverse le prospettive di crescita. Alla nascita, le start-up hanno ovunque dimensioni simili (più grandi in Francia e Paesi Bassi, meno in Giappone e Spagna; figura 3), sono le aziende più anziane ad avere dimensioni molto diverse nei vari paesi e ciò suggerisce che in alcuni, in particolare gli Stati Uniti, si registrino opportunità di crescita superiori a quelle prevalenti in molte realtà europee.

Figura 3– Dimensione media delle start-up e delle imprese anziane

costa criscuolo menon 3

LA QUESTIONE ITALIANA

In molti paesi gran parte del contributo delle giovani imprese alla crescita dell’occupazione tra il 2000 e il 2010 si deve alla nascita di nuove unità. In Italia, però, avviene il contrario: il contributo delle giovani imprese in crescita è maggiore di quello delle nuove. E, in ogni caso, il contributo delle imprese “anziane” è negativo (figura 4).

Figura 4 – Le imprese giovani contribuiscono maggiormente alla crescita occupazionale

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Fonte: Criscuolo, Gal e Menon, 2014.

Il fatto che le imprese giovani contribuiscano più delle nuove alla creazione di occupazione non è privo di conseguenze per il dibattito sulla questione dimensionale del nostro sistema produttivo, perché suggerisce che gli interventi di politica economica siano più opportuni per questa fascia di imprese – o meglio, per quella particolare fase di crescita legata al primo decennio di attività aziendale. Sotto questo profilo, d’altronde, i margini di miglioramento in Italia sono ancora vasti. Come ampiamente documentato, adempimenti burocratici, ristrettezza delle fonti di finanziamento, costi e tempi della giustizia civile limitano lo sviluppo delle nostre imprese più di quanto ne ostacolino la nascita. (4)
Infine, i dati suggeriscono come tali ostacoli alla crescita diventino pressoché insormontabili quando le imprese più produttive raggiungono la maturità e potrebbero finalmente diventare grandi, e non solo anziane. Diversi studi suggeriscono che i freni all’efficienza allocativa, cioè ai flussi di risorse verso gli impieghi più produttivi a scapito degli utilizzi a basso potenziale, sono tra i principali responsabili della drammatica stagnazione della produttività che ha caratterizzato l’ultimo ventennio nel nostro paese.

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* Le opinioni espresse sono riconducibili esclusivamente agli autori e non riflettono le posizioni delle istituzioni di appartenenza.

 

(1) Si pensi alla sezione IX del decreto legge “Crescita 2.0”, dedicata alla promozione delle “start-up innovative”.
(2) Ciò si riflette anche in un alto grado di imprenditorialità, con quasi 64 imprese ogni mille abitanti (sono circa 39 in Francia, 27 nel Regno Unito, 26 in Germania).
(3) C. Criscuolo, P. Gal e C. Menon, “The dynamics of employment growth: new evidence from 18 countries”, STI Policy Paper n. 14, 2014. DOI: 10.1787/5jz417hj6hg6-en
(4) Tra le ricerche più recenti: Ocse, Studi economici dell’Ocse. Italia, maggio 2013; Banca Mondiale, Doing Business, 2013; Istat, “Mercati, strategie e ostacoli alla competitività”, novembre 2013; S. Giacomelli e C. Menon, “Con tribunali lumaca l’impresa resta piccola”. Sui motivi del “nanismo” delle imprese italiane, si veda S. Scarpetta, “Perché restano piccole imprese”.

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Il Punto

  1. rob

    Le quote rosa stabilite per decreto, la gioventù e la freschezza mentale stabilita per anagrafe: qualcosa non torna!

    • Dottor Gambanelli

      Il punto è che le imprese in italia nascono piccole e lo restano. Questo è l’opposto della freschezza e della gioventù.

      • rob

        Conosco ventenni vecchi bacucchi! Chi ha iniziativa, freschezza mentale, curiosità infinita,voglia capacità coraggio di mettersi in gioco, non giudica mai in termini anagrafici un suo collaboratore un suo socio o un suo cliente. Questo linguaggio è classico della burocrazia stantia, ma soprattutto di coloro che non hanno coraggio e sono vili. Stabilire che in un consiglio comunale il 50% dei rappresentanti devono essere donna, credo che sia la più grande offesa che si possa fare alla persona. Chi ha coraggio si confronta, il mediocre difende il suo orticello perché sa che non lo ha avuto per merito ma in regalo da altri mediocri. La persona curiosa ascolta le idee di un altro, il mediocre, non avendo idee, non ascolta, ma pensa a come neutralizzarlo con tutti i mezzi anche i più beceri.

  2. Hk

    Se posso un piccolo contributo, da imprenditore. Premesso che in generale gli imprenditori preferirebbero crescere che decrescere per ovvi motivi, suggerirei di considerare con attenzione la relazione fra dimensione e probabilità di crescita. Osserverete che la relazione è positiva da 1 ad approssimativamente 10 collaboratori e poi oltre i 40-50 collaboratori. In mezzo invece è in Italia particolarmente negativa. Pertanto risulta molto difficile oggi in Italia superare il canale che divide la micro impresa da quella in grado di crescere.

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