L’austerità fiscale è la medicina che porterà l’Europa fuori dalla crisi? Non ci crede Mario Seminerio e nel suo libro La cura letale spiega perché, attraverso un’analisi puntuale, in un linguaggio chiaro e accessibile a tutti. È il contributo di un opinionista non accademico al dibattito sulla crisi. Particolarmente apprezzabile perché sui media, vecchi e nuovi, a volte spopolano tesi accattivanti, ma del tutto prive di fondamento teorico e empirico. Mentre non sempre gli economisti riescono a trasportare in quelle discussioni la loro autorevolezza accademica.

Quando un paziente non risponde alla terapia, il medico è costretto a porsi una domanda: continuare con la cura, aspettando che dia i suoi effetti, o cambiarla? A volte le cure richiedono tempo per funzionare, ma se sono sbagliate possono portare, in alcuni casi, perfino alla morte del paziente. L’Europa è uno dei grandi malati dell’economia mondiale e la terapia che si sta sperimentando su alcuni dei suoi paesi è l’austerità fiscale. Cosa ne pensi Mario Seminerio, analista finanziario, editorialista e blogger (il suo Phastidio.net è uno dei blog più seguiti in Italia tra quelli che si occupano di economia) è chiaro sin dal titolo del volume che è da poco uscito nelle librerie: La cura letale.

LE CAUSE DEI MALI EUROPEI

Come ogni buon medico, Seminerio parte dalla diagnosi dei mali europei. Il punto di partenza sta negli squilibri della bilancia commerciale che si sono creati in seguito all’introduzione dell’euro. Alcuni paesi, e in particolare la Germania, hanno iniziato ad accumulare surplus rilevanti (hanno cioè esportato più di quanto abbiano importato) mentre altri, in particolare quelli periferici (Grecia, Spagna, Irlanda, eccetera) si sono trovati a essere in stabile disavanzo. Ma a ogni disavanzo commerciale corrisponde un afflusso di capitali. Tali capitali sono stati all’origine della bolla immobiliare di Spagna e Irlanda e hanno contribuito a finanziare un’espansione incontrollata della spesa pubblica in Grecia. Per alcuni anni tutto è sembrato procedere bene in Europa (nel febbraio 2005, ci ricorda Seminerio, lo spread tra i titoli tedeschi e greci era di circa una decina di punti base). Poi la crisi americana, lo scoppio della bolla immobiliare anche in Europa, i dubbi sulla capacità della Grecia di ripagare il suo debito pubblico, hanno portato a un improvviso arresto del flusso di capitali verso i paesi della periferia europea. Le banche, piene di titoli basati su mutui ormai dal dubbio valore, di titoli di Stato con valore ridotto e incapaci di ricapitalizzarsi sul mercato, hanno messo in atto una strategia di deleveraging, cioè hanno ridotto la proprie attività per rendere più solida la propria situazione patrimoniale. In alcuni casi, ciò non è stato sufficiente e lo Stato è dovuto intervenire per salvare le banche. In questo modo, tuttavia, gli Stati hanno visto esplodere deficit e debito pubblico, rendendo più rischiosi i titoli di Stato e innalzando quindi i rendimenti. Per rassicurare gli investitori, i governi hanno iniziato a tagliare la spesa pubblica e ad aumentare le tasse. Ma la combinazione di una restrizione dell’attivo delle banche (e quindi anche del credito alle imprese) e di una politica fiscale restrittiva, combinata all’impossibilità di una svalutazione finalizzata a ottenere un aumento dell’export, ha come conseguenza inevitabile una contrazione dell’attività economica, che a sua volta apre nuovi buchi nei bilanci pubblici e crea sofferenze negli attivi delle banche. Se poi l’austerità è perseguita simultaneamente in tutti i paesi, i suoi effetti di depressione delle economie ovviamente si amplificano e la crisi si avvita su se stessa.
Non è dunque l’austerità la cura giusta. Quello che ci vorrebbe, al fine di assorbire il debito e ridurre i deficit, sarebbe una maggiore crescita delle economie dei paesi europei.
Chi è responsabile per questa cura sbagliata? La risposta, secondo Seminerio, è la Germania, o, più precisamente, il governo tedesco con la sua inflessibile richiesta di nuovi consolidamenti fiscali, con annessi fiscal compact e piani di rientro del debito pubblico, e la Bundesbank, così refrattaria a una politica monetaria più accomodante della Bce che potrebbe ridurre il costo di rifinanziamento del debito sovrano. La Germania, ci ricorda il libro, ha avuto l’opportunità di ristrutturare la propria economia all’inizio del nuovo secolo mediante riforme del mercato del lavoro e del welfare, potendo però avere il vantaggio di non rispettare i vincoli delTrattato di Maastricht in termini di deficit del settore pubblico. In altre parole, la tolleranza dei governanti di allora (Giulio Tremonti in testa) ha consentito alla Germania di diventare più competitiva senza fare percepire ai cittadini tedeschi l’onere della ristrutturazione grazie a una generosa spesa pubblica. La maggiore competitività tedesca è stata poi alla base degli squilibri commerciali che hanno causato la crisi che stiamo vivendo. Ma la Germania non sembra avere la stessa comprensione delle sofferenze dei cittadini greci, spagnoli e portoghesi che l’Europa aveva mostrato nei suoi confronti dieci anni fa. Da qui nasce il forte risentimento verso Angela Merkel e verso il governo tedesco che pervade molti Paesi europei.

LA RICETTA: MAGGIORE INTEGRAZIONE

Come si potrebbe uscire da questa terribile impasse? La strada maestra, secondo Seminerio, è quella di una maggiore integrazione europea. Una integrazione dei sistemi bancari, con un’unica autorità di sorveglianza, ma soprattutto una maggiore integrazione fiscale. Purtroppo anche su questo fronte i contrasti tra Germania e Francia impediscono di fare reali progressi. La Germania sembra disposta a una maggiore integrazione solo in presenza di un coordinamento più stretto delle politiche fiscali (il supercommissario europeo con il diritto di cambiare i piani fiscali dei vari Paesi di cui si parla in questi giorni), mentre la Francia, dietro un rifiuto opposto in base al desiderio di salvaguardare la sovranità dei paesi e quindi degli elettori, sembra nascondere uno scarso desiderio di attuare piani di drastico taglio della spesa pubblica. Il futuro europeo non è roseo, dunque, anzi: “Torneremo poveri” è una delle profezie contenute nel libro.
Il libro fornisce un’ottima descrizione delle cause della crisi e mette in luce in modo impietoso le ricette sbagliate, quali la patrimoniale sulla ricchezza privata che dovrebbe sistemare tutti i mali italiani. Confesso che in alcuni punti mi sarebbe piaciuto vedere un maggiore grado di dettaglio nella trattazione. Ad esempio, l’Italia non rientra pienamente nell’analisi proposta da Seminerio, dato che la bolla immobiliare da noi, se c’è stata, non ha raggiunto le dimensioni di quella spagnola o irlandese. Non è facile affermare che il settore pubblico sia veramente immune da colpe in Italia. Non avere colto l’occasione, negli anni di bassi tassi di interesse, di ridurre debito e spesa, trincerandosi dietro la parola d’ordine dei “conti messi in sicurezza” è stato, a mio avviso, un grave errore della politica italiana. E la perdita di competitività, all’origine degli squilibri commerciali ha avuto come (con)causa anche un costo del lavoro sganciato dalla produttività e dilatato da un elevato cuneo fiscale.
Un altro punto che forse avrebbe meritato più attenzione riguarda la crescita, invocata come alternativa all’austerità. Crescere è importante, qualunque cosa dicano i teorici della decrescita. Ma è proprio vero che l’austerità peggiora la crisi di crescita? Certo, un’austerità coordinata di tutti i paesi europei non può portare che a una recessione. Ma, d’altra parte, la crescita potrà esserci solo con una riduzione del carico fiscale su imprese e cittadini, che in paesi con elevato debito pubblico può essere attuata solo con una simultanea riduzione della spesa pubblica. Seminerio ci ricorda come l’anomalia italiana sia il peso della spesa pensionistica, oltre che quella per gli interessi sul debito. Dunque è difficile non considerare come positiva la riforma delle pensioni del governo Monti, pur senza trascurare alcuni errori, anche seri, in essa contenuti. Ugualmente importante sarebbe una riduzione del debito pubblico, con una cessione degli asset statali.
Ma queste sono osservazioni marginali, che non intaccano in alcuno modo l’interesse del libro. Chi legge abitualmente il blog Phastidio sa cosa aspettarsi da Mario Seminerio: un’analisi puntuale e informata, un punto di vista forte (nella copertina del libro l’autore viene definito “economista non allineato”) e bene argomentato, e un linguaggio chiaro e accessibile a tutti. Il libro non tradisce le attese.
Nel dibattito sulla crisi che impazza sulla rete e nei talk show, gli accademici sono spesso chiamati a confrontarsi con editorialisti e blogger e l’autorevolezza accademica non sempre si esporta nelle discussioni di policy. D’altra parte, a volte, riscuotono grande popolarità tesi accattivanti ma del tutto prive di fondamento teorico e empirico. Mario Seminerio è invece un blogger e un opinionista non accademico che offre argomenti solidi e motivati, con un punto di vista originale e che arricchisce sempre le discussioni. La sua popolarità e la sua autorevolezza sono più che meritate. Il libro contribuirà a rafforzarle.

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