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Tutti i rischi dell’operazione Banca d’Italia

La rivalutazione del valore delle quote di Banca d’Italia è una operazione “furba”. Può generare maggiori entrate tributarie. Ed essere impiegata dalle banche azioniste per rinforzare la patrimonializzazione. Il vantaggio rischia però di essere di breve periodo.
INDIPENDENTE, MA DA CHI?
La rivalutazione (non eccessiva, 5-7 mld di euro) del valore delle quote di Banca d’Italia e la contestuale revisione della governance e dell’assetto proprietario sembra un’operazione “furba”: le banche azioniste rinforzano la propria patrimonializzazione, utile ai fini della Asset Quality Review che la Bce effettuerà l’anno prossimo, e si generano maggiori entrate tributarie (per circa 1,5 mld). Ma come tutte le italiche “furbizie”, il vantaggio di breve periodo rischia di diventare una perdita nel lungo periodo.
Nel documento di valutazione dell’operazione, preparato dalla stessa Banca si riconosce l’importanza della piena indipendenza. Si menziona “la capacità di resistere alle pressioni politiche”, mentre l’influenza che può essere esercitata dagli azionisti privati viene relegata alla sfera dei problemi non di sostanza ma di “(erronea) percezione”. E, infatti, uno degli obiettivi della proposta di revisione degli assetti proprietari è proprio quella di “evitare che si dispieghino gli effetti negativi della legge n. 262 del 2005, mai attuata, che contempla un possibile trasferimento allo Stato della proprietà del capitale della Banca”.
Ora, se c’è una “azienda” in Italia che deve essere in mano pubblica questa è la Banca d’Italia. L’attività della regolamentazione, vigilanza, politica monetaria e così via richiede la massima indipendenza della banca centrale rispetto ai soggetti regolati. L’azionariato pubblico non è condizione necessaria affinché ciò accada e nemmeno sufficiente; però, è sicuramente meglio di un azionariato privato, dove gli azionisti sono tra l’altro i soggetti controllati. È vero che anche la Federal Reserve (presa ad esempio nel documento) ha un azionariato privato, ma il Governatore rimane in carica per quattro anni, viene nominato dal Presidente degli Stati Uniti e il Senato lo deve confermare. Sul nome del candidato i partiti politici si scontrano apertamente (si veda il caso di Summers). Il candidato si sottopone alle domande dei senatori e, una volta eletto, dovrà tornare in Parlamento almeno due volte l’anno per testimoniare sulla conduzione della politica monetaria. Per questo, la Federal Reserve preferisce definirsi independent within the government piuttosto che independent of government. Le singole banche federali regionali sono incorporate come una società per azioni, ma le azioni in questione sono una sorta di biglietto di ingresso. Fruttano un dividendo fissato per legge al 6 per cento del valore nominale, ma non possono essere “sold, traded, or pledged as security for a loan“: non proprio il progetto italiano, che prevede invece che le quote siano “facilmente trasferibili e in grado di attrarre potenziali acquirenti”.
LA QUESTIONE DEI DIVIDENDI E QUELLA DEL VALORE
Veniamo al problema dei dividendi. Fortunatamente, e ci mancherebbe altro, nel documento si suggerisce che gli utili derivanti dal signoraggio, cioè l’emissione di banconote, non vengano distribuiti agli azionisti. Ma la politica monetaria si riduce all’emissione di banconote? Ad esempio, gli utili fatti comprando titoli (di Stato e non) in momenti di stress di mercato dove andrebbero a finire? Si tratta di operazioni che la Banca d’Italia, come qualsiasi altra banca centrale, può effettuare solo perché dietro c’è la garanzia dei contribuenti italiani, non certo quella degli azionisti. Facciamo sempre il paragone con la Fed, il cui obiettivo non è fare profitti ma quando ne fa (e ne sta facendo tantissimi), vengono redistribuiti al Tesoro, cioè ai contribuenti americani. Lo stesso in verità è accaduto in Italia, ma, accentuando la natura privata della Banca, potrà accadere anche in futuro?
Quanto al valore della Banca d’Italia, nello studio elaborato con la consulenza di tre esperti indipendenti si stima che sia pari a 7 miliardi, usando un semplice Dividend Discount Model (Ddm) a due stadi. E’ una frazione delle sole riserve valutarie accumulate dalla Banca d’Italia nel corso della sua storia. Visto che il Ddm non ha alcun senso se dobbiamo valutare le riserve auree ed è comunque pleonastico per valutare portafogli titoli per i quali esista già una valutazione di mercato, evidentemente si dà per scontato che le riserve valutarie, stimate in oltre 100 mld di euro, non siano di proprietà della Banca d’Italia, ma dello Stato. Dal valore della Banca d’Italia, nel progetto in questione, vengono altresì scorporate tutte le riserve statutarie, stimate pari a 23 mld Se nella sostanza siamo tutti d’accordo che l’oro è dello Stato, prima di “privatizzare” la Banca sarebbe necessario precisare con la massima chiarezza quali attivi sono della nostra banca centrale e quali invece sono solo in sua custodia. Vale la pena rischiare di dimenticare qualcosa nella fretta di recuperare le risorse per finanziare l’abolizione dell’IMU prima casa?
Ipotizziamo pure che Banca d’Italia “privata” riceva un capitale di 7 mld. Con un dividend-yield del 6%, nello studio si stima che il flusso di dividendi per gli azionisti sia pari a 420 mln. Anche usando la stima più elevata di gettito (1,5 mld), in quattro anni gli azionisti si ripagherebbero l’esborso, senza dover vendere neanche una quota e beneficiando quindi in pieno dell’impatto positivo dell’aumento patrimoniale. Non male, soprattutto se si tiene conto che nel 2012 sono stati distribuiti agli azionisti “storici” circa 70 mln. La seconda considerazione riguarda la fonte dei dividendi. Se agli azionisti privati non viene destinata la quota di utili che la Banca d’Italia ottiene con la gestione, ortodossa e eterodossa, della politica monetaria, quale altra attività può svolgere per generare dividendi? Di primo acchito diremmo la gestione del patrimonio conferito. Se il patrimonio è prudenzialmente investito in Btp, per arrivare al 6 per cento di rendimento calcolato nello studio è necessario attingere ad una parte delle cedole guadagnate anche sulle riserve non di spettanza degli azionisti.
BANCA D’ITALIA DEV’ESSERE ITALIANA
Se questi rilievi sulla valutazione possono essere considerate “technicalities”, nell’obiezione a un assetto proprietario privato della Banca d’Italia c’è anche un pò di sano “nazionalismo”. La ricchezza accumulata dalla Banca d’Italia è degli italiani: qualunque sia il suo valore effettivo, sta di fatto che una parte anche piccola del bene pubblico “Banca d’Italia” viene sottratto ai cittadini. Banche e assicurazioni sono private e la loro nazionalità non è più difendibile a-priori: ha senso che la Banca d’Italia possa in futuro diventare a maggioranza di azionisti esteri? Ha senso che le banche possano vendere le quote ad azionisti “di lungo periodo”, i quali a loro volta potrebbero essere in futuro scalati da società straniere? Il fatto che fino ad oggi il Governo e il Parlamento italiano possano fare quello che vogliono con gli utili e il patrimonio di Banca d’Italia dipende in larga parte da due fattori: gli azionisti sono italiani e la Banca d’Italia è la loro autorità di vigilanza. Il valore di questa doppia combinazione non va sottovalutato. Spostiamo le lancette di una decina d’anni e chiediamoci cosa può accadere se l’azionariato della Banca d’Italia diventasse francese o tedesco, con la vigilanza oramai passata a Francoforte. E chiediamoci cosa succede se la valutazione della Banca d’Italia non fosse 7 miliardi, come stima il governo, bensì 30 miliardi, come sostiene qualcun altro, oppure cento miliardi e più, se per caso nel frattempo il Parlamento non ha fatto chiarezza sulla proprietà degli attivi iscritti in bilancio.

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14 commenti

  1. Paolo Quattrone

    Rispetto all’altro articolo sulla medesima questione, questo, finalmente, mi sembra sia saggiamente ragionevole.

  2. Ryoga007

    Non capisco. La Banca d’Italia non e’ gia’ privata, come assetto proprietario, e pubblica, come governance? Cosa cambierebbe, in tal senso?
    Molto chiara invece la questione dei dividendi, assumendo che anche per esa valga la percentuale del 6% sul valore nominale.

    • Manshoon

      Cambierebbe che fino ad oggi le quote “di proprietà” in Bankitalia hanno solo un valore simbolico, questa manica di disperati crea per decreto un valore fittizzio delle quote, su cui incassa tasse per abolire l’IMU (che tanto l’anno prossimo tornerà con altro nome).
      Se non fosse un furto sarebbero da fare ai maggiordomi dei banchieri i complimenti: mica è facile svendere uno Stato in pochi mesi.

  3. La banca d’Italia deve essere dello stato, ossia dei cittadini, non vale nulla, se dobbiamo fare l’ennesimo regalo alle banche, sperando che attenuino il credit crunch, facciamolo, immettiamo liquidità al sistema in barba a Draghi, facciamo questa rivalutazione delle quote, incassiamo le imposte per ridurre le tasse agli italiani, ma dopo lo stato deve acquistare le azioni rivalutate dalle banche, in questo modo immettiamo liquidità al sistema bancario, parliamo di oltre 7 miliardi, le banche saranno più liquide, possono fare un fondo per l’edilizia e fare ripartire il settore ecc…

  4. kidprofane18

    Insomma, vendere le solite 4-5 miliardi di briciole per tappare buchi, quando ad un economia come l’italia servirebbero 200-300 miliardi per impostare una crescita…

    • I soldi ci sono, ricordo che abbiamo già versato all’Europa per aiutare gli altri paesi oltre 50 miliardi lo scorso anno, lo stato ha garantito il collaterale dato dalle banche per i prestiti all’1% dati a loro dalla Bce ( circa 150 miliardi), cosa occorre fare, lo stato dia le garanzie alle imprese che in take modo possono finanziarsi nel mondo bancario, oggi se vai in banca ti chiedono di garantire gli affidamenti con i consorzi di garanzia, sono costi su costi, poi si pagano spreed elevatissimi, sarebbe preferibile che interviene lo stato come ha fatto con le banche e con gli altri stati europei, garantisce le imprese, naturalmente dal lato delle imprese vi dovrà essere responsabilità, dovranno mantenere l’occupazione ecc, ; lo strumento già esiste per tale scopo, si chiama legge 662, solo che deve essere fatta la legge per aumentare il limite della garanzia che oggi non può superare i. 2,5 milioni; in ogni caso ricordo che per aumentare tale limite non va garantita la copertura del bilancio, non lo è stata fatta per le banche, perché lo si deve fare per le imprese, le banche sono più solide delle imprese? Non mi sembra, oggi abbiamo in Italia 12 banche commissariate e tutte le altre verranno commissariate se le imprese non tornano a macinare utili.

  5. MG_in_Progress

    Ma quello che stanno facendo non viola semplicemente la Legge 262/05 art. 19 che prevedeva la
    nazionalizzazione/ripubblicizzazione delle quote detenute dai soggetti privati della Banca d’Italia? Ma non c’é scritto chiaramente che la banca debba essere di diritto pubblico e/o partecipata da enti pubblici?

  6. Preoccupato!

    Concordo in pieno con il dott. Esposito.
    Quella che stanno facendo, sotto l’apparenza di una furbata, è semplicemente una follia.
    Sarebbe meglio, per ricapitalizzare le Banche, far comprare direttamente il loro capitale da una Banca D’Italia pubblica (cioè, con quote al 100% in mano statale) piuttosto che questo parto malriuscito del genio del male S.

  7. Wilcoyote

    Un’obiezione ed una domanda.
    Obiezione: un organismo di controllo non può essere posseduto dai soggetti che dovrebbe controllare. E’ come se l’authority per le telecomunicazioni fosse un’azienda privata di proprietà di Telecomitalia, Fastweb, Infostrada ecc. Se è pubblica la summenzionata authority, a maggior ragione dovrebbe essere pubblico un organismo chiamato a svolgere un ruolo delicatissimo come la Banca d’Italia.
    Domanda: le riserve auree (le quarte del mondo per valore) di chi sono?

    • Andrea Trotty

      Devi imparare la differenza tra azione di controllo e azione di capitale. La banca non è posseduta da nessuno dei soggetti che vi riversano fondi e garanzie.

    • Cyrano

      Mi pare che i Partecipanti detengano quote e non azioni del capitale sociale, e quote fino a ieri non alienabili. E non è genericamente lo Stato e neppure il Tesoro ma la Banca d’Italia che detiene e gestisce fra l’altro le riserve nazionali in valuta e oro. D’altra parte all’organo più elevato dei Partecipanti, al Consiglio superiore, “spettano l’amministrazione generale nonché la vigilanza sull’andamento della gestione e il controllo interno della Banca”. Compiti solo amministrativi che tuttavia contribuiscono a dar titolo a dividendi nel riparto degli utili. Mi sembrano punti fondamentali, distinzioni capaci di evitare tanti equivoci correnti.

  8. Omo Neri

    Ogni socio non potrà avere più del 5% di quota azionaria. L’eccedenza non dà diritto al voto e ai dividendi. Si va verso una public company. Nessun socio può essere determinante. È una normalizzazione. La rivalutazione è anche una svolta verso il realismo. Si può dire che non rivalutavano per non pagare le imposte sulla plusvalenza?

  9. Omo Neri

    Con la BCE ha ancora senso che esistano banche nazionali ?

  10. eur87

    Guarda che il valore delle azioni Banca d’Italia potrebbero anche aumentare perciò quello che adesso vale 26000 euro un domani quando lo stato le ricomprerà potrà valere 30000 o anche meno. Ed è cosa assai probabile perché questa rivalutazione arbitraria è stata fatta facendo una media dei valore della azioni Banca d’Italia che secondo stime molto favorevoli erano di 13 miliardi invece di 7,5.

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